L’inizio
In queste ultime settimane da più parti e in particolare da amici mi è stata posta la domanda se avessi avuto occasione di vedere il filmato di cui si sono occupati tutti i media nazionali, riguardante Sampa: luci e tenebre di San Patrignano. Fino a due giorni fa rispondevo che avevo letto diversi articoli, commenti e recensioni al riguardo, sia favorevoli che contrari alla fiction, ma che non conoscevo dettagliatamente il contenuto. A seguito di nuove sollecitazioni da parte soprattutto degli amici Famiglia Nuova che sta preparandosi a ricordare il quarantesimo di fondazione della prima Comunità del Lodigiano da parte di don Leandro Rossi mi sono premurato di recuperare il filmato e vedermi, tutte di seguito, le prime due puntate della fiction, che mi hanno riportato immediatamente con la memoria a quei anni che oso chiamare “terribili” e difficili. Ho ancora ben presente, come raccontano “in viva voce” Carlo Cavalli e Daniela nella loro testimonianza, quando Leandro ricordava il “suo inizio”, la vigilia di Natale del 1978, quando ha accolto il primo “drogato” (per tanti e troppi anni questo termine è stato lo stigma per tutte le persone che avevano fatto uso di sostanze stupefacenti) che si chiamava Roberto, nella sua casa parrocchiale di Cadilana e la reazione conseguente di molti parrocchiani del piccolo paese alla periferia di Lodi. Come è già stato ricordato da altri, don Leandro, in più occasioni, faceva riferimento, sia a voce che nei suoi scritti, a Muccioli e a San Patrignano soprattutto in merito alle persone accolte in Comunità. Il suo rammarico era sempre quello di non poter ospitare più giovani che chiedevano aiuto per “uscire” dalla droga, in quanto le sue Comunità erano piccole, a misura d’uomo, e le Istituzioni pubbliche non erano di aiuto a reperire nuovi spazi come cascine abbandonate o strutture rurali in rovina. Personalmente mi sono avvicinato alla Comunità di Cadilana e da subito, infatti, risulto tra i soci fondatori della Cooperativa Famiglia Nuova. La Regione Lombardia nella sua prima pubblicazione ufficiale delle Comunità ne annoverava nove in tutta la regione e tra queste c’era anche Famiglia Nuova che veniva collocava a Col di Lana, anziché Cadilana. Si può dire che “in alto” non sapevano neppure dove fossero queste nuove realtà?
Il mio avvicinamento a Famiglia Nuova
I motivi del mio avvicinamento a Famiglia Nuova sono stati diversi: l’amicizia e la stima verso don Leandro, che era stato il mio insegnante di Morale negli anni del Concilio Vaticano II e che mi aveva formato a una visione di Chiesa aperta al mondo e agli ultimi, l’apparizione del problema della droga nell’Istituto Superiore di Lodi dove insegnavo religione con la contrapposizione tra insegnanti che chiedevano interventi drastici e punitivi nei confronti dei “primi” studenti sospettati di far uso di “droghe” e quelli, tra cui c’ero anch’io, che invece proponevano interventi educativi di supporto e di aiuto a questi studenti in difficoltà. Il mio sogno/desiderio giovanile di realizzare una Comunità di vita con persone che condividessero gli stessi ideali di amicizia, condivisione e solidarietà. Inizialmente ho incominciato a frequentare don Leandro a Cadilana cercando di conoscere gli ospiti e le loro problematiche e, in seguito, ho accettato sempre su proposta di don Leandro di iniziare a frequentare, due sere la settimana, la Comunità di Monte Oliveto a Castiraga Vidardo, aperta il 25 aprile 1982, fino a quando, nel settembre 1984, mi sono trasferito, definitivamente, a Monte Oliveto.
Le prime risposte
Dal 1979 al 1982 San Patrignano, come molto bene, dal mio punto di vista, viene descritto dalla fiction è “esplosa” per dare una risposta concreta alle “stragi” di morte per droga, che si verificavano ormai in tutta Italia e le modalità di questa crescita sono state simili, tranne che nel numero, in tutte le altri piccole Comunità sorte inizialmente al Nord, e in seguito nelle altre Regioni. Prima di Muccioli il punto di riferimento per l’aiuto e il recupero di persone che facevano uso soprattutto di eroina e cocaina era don Mario Picchi che, attingendo dalle prime esperienze di droga nel Nord America aveva fondato il C.E.I.S. a Roma e, quasi in contemporanea, altri preti: don Oreste Benzi (Papa Giovanni XXIII), don Piero Gelmini (Incontro), padre Eligio Gelmini (Mondo X), don E. Boschetti (Casa del Giovane), don Redento (Bessimo) e don Leandro Rossi (Famiglia Nuova) hanno fatto la scelta degli ultimi, che in quel momento storico erano i tossicodipendenti.
L’esperienza del “fai da te”
La droga era ormai una “piaga” purulenta della società del tempo alla caccia di un benessere esteriore e di facciata. Le famiglie, soprattutto nelle periferie delle grandi città, erano devastate e impotenti e il grido di aiuto che arrivava, inizialmente da ogni quartiere di città, e poi da ogni paese, cominciando da quelli più popolosi e poi ancora da quelli più piccoli fino ai paesi di campagna, era sempre più forte anche perché le Istituzioni erano latitanti e solo a questo punto hanno cominciato a farsi carico del dramma che flagellava l’Italia intera. L’esperienza del “fai da te” della Comunità di Sampa è stata la stessa di tutte le altre Comunità e quindi anche di Famiglia Nuova. Infatti, dopo Cadilana, la seconda struttura di Famiglia Nuova è stata Monte Oliveto. Mentre la Comunità madre è stata trasformata da casa parrocchiale a Comunità con pochi accorgimenti (letti, anche a castello all’interno, pollaio, laboratorio lavorazioni in pelle e portico nel cortile), la Comunità Monte Oliveto ha avuto bisogno, sia subito che in seguito, di numerosi interventi di ristrutturazione dall’abitazione principale alle stalle, dal pollaio a portici, depositi, gabbie, coltivazioni, orti. Tutto questo veniva fatto in economia e con l’apporto degli ospiti, soprattutto quelli che avevano avuto esperienze in campo edile, nell’artigianato o nell’agricoltura. A Monte Oliveto nei primi tempi c’erano galline, maiali, un asino e una mucca (Carolina) che veniva munta da Renzo, un ospite (alcolista) che, in carrozzella per l’amputazione di entrambe le gambe, veniva portato in stalla al mattino presto e alla sera.
Le reazioni dei vicini
Un altro elemento della fiction evidenzia le paure, le preoccupazioni, le reazioni e gli allarmismi della popolazione che si trovava improvvisamente a vivere nelle vicinanze della Comunità di Sampa, sorta dal nulla o quasi. Anche in Famiglia Nuova tale situazione è stata vissuta e affrontata al sorgere della Comunità di Cadilana a quella di Monte Oliveto: sia a Cadilana che a Castiraga Vidardo le reazioni degli abitanti sono state molto dure sino a promuovere da parte della autorità civili un referendum, soprattutto a Vidardo, per decidere se accogliere o no la Comunità dei drogati.
Le prime comunità di Famiglia Nuova
Mentre guardavo le immagini della fiction che scorrevano sul video mi sono trovato a rivivere con il pensiero e, ancora di più, con le emozioni, gli anni “pionieristici” della nascita, crescita e sviluppo delle Comunità terapeutiche per tossicodipendenti. Con don Leandro ho partecipato, dagli inizi, all’apertura della Comunità La collina a Graffignana (la prima casetta è stata costruita con la mano d’opera prestata dagli ospiti di Cadilana e Monte Oliveto, che hanno vissuto e dormito, per il tempo necessario a completare la piccola struttura iniziale, sotto un tendone da campeggio. Poi è arrivato il prefabbricato dal comune di Montinars (Friuli) del periodo della ricostruzione dopo il terremoto. Volontari e ospiti sono partiti per smontarlo in loco, caricarlo su un grande camion e installarlo, adattandolo alle nostre esigenze comunitarie, vicino alla prima costruzione. Subito dopo, anche perché le richieste d’aiuto al Centro Ascolto, aperto a Lodi, aumentavano in continuazione e le urgenze erano tante, è stata aperta la Comunità Gandina, acquistata inizialmente con le risorse personali di don Leandro, che attingeva dall’eredità della sua famiglia e dei proventi della vendita di molti libri che, nonostante fosse ormai assorbito dalla necessità di procurare ogni giorno cibo, vestiario e abitazione ai “suoi” ragazzi, riusciva a scrivere nelle ore notturne, prima del sorgere dell’alba. In quel periodo don Leandro aveva incontrato una persona con la quale ha mantenuto negli anni un forte legame di stima e amicizia reciproca: Corrado Barbot, presidente delle Acli di Milano. Corrado ha proposto a Leandro la grande e meravigliosa tenuta di Montebuono, sul lago Trasimeno, che in breve tempo è diventata la quinta Comunità di Famiglia Nuova. Nello stesso tempo si è presentata, a Cadilana, la possibilità di acquistare una villa con giardinetto e subito don Leandro si è dato da fare per aprire una Comunità femminile, poiché fino a quel momento non aveva potuto accogliere nessuna delle tante ragazze tossicodipendenti che venivano a bussare al Centro-Aiuto. La Comunità femminile, formata da quattro, cinque tossicodipendenti, ha avuto come “mamma” Angioletta, la sorella di don Leandro che, arrivata all’età delle pensione come insegnante, ha fatto la scelta coraggiosa di condividere con il fratello, la vita degli ultimi.
Crespiatica
In seguito è partito il mega-progetto di Crespiatica che doveva essere una Comunità di reinserimento, predisposta per la realizzazione di un’officina meccanica, autolavaggio, concessionaria per vendita autovetture e altri lavori artigianali, con l’intento di offrire un lavoro sicuro agli ospiti di tutte le strutture di Famiglia Nuova che portava a termine il programma terapeutico previsto in due anni. Purtroppo, per varie e anche dolorose vicissitudini intervenuta nell’arco di alcuni anni, il progetto di una struttura di reinserimento non ha raggiunto i risultati che si speravano, almeno fino alla morte di don Leandro, che ha vissuto a Crespiatica l’ultimo periodo della sua vita.
Fontane e Kairos
Per completare il quadro delle strutture avviate da don Leandro tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso è doveroso ricordare anche la Comunità “Fontane” di Cornovecchio, aperta con la decisione da parte di Egisto, in seguito all’esperienza a Monte Oliveto e poi a Montebuono, con Mauro Foroni (che ci ha lasciati agli inizi del 1994, dopo aver donato tutto se stesso a Famigli Nuova in seguito al distacco con l’amico stilista Moschino) di legarsi definitivamente a Famiglia Nuova. Sempre in questo periodo hanno preso avvio le due Comunità in provincia di Bergamo: S. Gallo nel comune di San Giovanni in Bianco, in Val Brembana e Bonate Sopra. Con la dismissione, nel tempo, di queste due Comunità, è stata acquistata la Comunità Kairos a Cisano, condotta dalla sua apertura da Maurizio Mattioni.
Il grido d’aiuto
A questo punto mi sto chiedendo se i numerosi ricordi di un passato ormai lontano a cui mi sto lasciando andare siano in linea con lo sceneggiato di Sampa e mi viene da rispondere affermativamente, in quanto quella che è stata, in grande dimensione, l’avventura della Comunità di Muccioli si è ripetuta, in piccolo, nelle Comunità che don Leandro ha aperto negli stessi anni, spinti entrambi dal grido di aiuto che arrivava dai luoghi più disperati dell’Italia. Nelle Comunità di Famiglia nuova era normale incontrare giovani lombardi insieme a giovani napoletani, pugliesi, umbri, sardi o siciliani e quando poi sono arrivate nuove persone dalle carceri, quasi tutte le regioni erano rappresentate.
Per non dilungarmi oltre sulle esperienze partecipate e vissute in prima persona in quel periodo drammatico, ma anche pregnante di iniziative, intuizioni, tentativi e sogni riguardanti le Comunità terapeutiche e la società civile di quel tempo, ritengo possa essere di stimolo alle riflessioni, in corso in questo periodo, soffermarmi un momento su due aspetti che riguardano la fiction di Sampa.
Primo: Comunità con grandi numeri o tante piccole Comunità?
Sempre dai ricordi mi torna in mente una serata nell’Aula Magna del Liceo “Verri” ove, per un ciclo di conferenze promosso da Sert di Lodi, insieme a Comune e alle Comunità esistenti sul territorio lodigiano (al tempo erano undici), dove venivano presentate, a quanti erano interessati alle problematiche riguardanti la “droga”, le diverse risposte delle Comunità terapeutiche. Casualmente la stessa sera nella quale ero stato invitato a presentare le realtà e i metodi di Famiglia Nuova è intervenuto, prima di me, Cardella della Comunità Saman. Come San Patrignano, anche le Comunità Saman, avviate inizialmente in Sicilia da Rostagno, poi ucciso dalla mafia, e poi nelle Regioni del Sud d’Italia, avevano, come impostazione, la conduzione di strutture con un numero di ospiti che superavano le cinquanta unità e spesso superavano la soglia dei 100 ospiti. Mentre Francesco Cardella sosteneva la validità delle mega-Comunità sull’esempio di San Patrignano, nel mio successivo intervento ho cercato di mettere in evidenza come fosse importante, invece, proporre, ai consumatori di sostanze stupefacenti che avanzavano la richiesta di accoglierli in Comunità una realtà di famiglia allargata, soprattutto perché, almeno inizialmente, i giovani accolti provenivano da famiglie disgregate o quasi. Molti degli ospiti, appena arrivati in Comunità, non ricordavano il periodo durante il quale si erano seduti a tavola con la famiglia per consumare insieme il pranzo o la cena. Una Comunità di 12/15 persone facilitava l’incontro, la conoscenza, la relazione e, quando si riusciva, anche la condivisione e la solidarietà. La presenza degli operatori e soprattutto del responsabile facilitava a creare, pian piano, un gruppo.
I numeri e il potere
Il filmato di San Patrignano evidenzia molto chiaramente come il numero degli ospiti, cresciuto troppo velocemente ha portato alla necessità di organizzare le Comunità in reparti ben definiti e chiusi che poi sono diventati, nel tempo, piccoli centri di potere, con conseguenze inevitabili. L’aumento vertiginoso degli ospiti e la necessità, da parte di Muccioli, di ampliare sempre più San Patrignano l’ha spinto sempre più lontano dalle problematiche interiori delle persone che accoglieva, anche se, inizialmente la sua presenza fisica e “taumaturgica” bastava a rassicurare quanti vivevano all’interno della Comunità. Sarebbe interessante approfondire il rapporto tra Muccioli e i “ragazzi” che accoglieva, i primi anni, personalmente, ma il discorso diventerebbe molto lungo. Personalmente mi sento di sottolineare come sia molto importante condividere fino in fondo la vita della Comunità dalla sveglia del mattino alla condivisione delle attività, dei pasti, dei momenti ricreativi e di riposo. È questo il motivo principale per cui mi sono staccato, fisicamente, da don Leandro, in quanto, ad un certo punto, non ho più condiviso il suo quasi “spasmodico” bisogno di continuare ad aprire nuove Comunità per accogliere tutte le persone che gli chiedevano aiuto. A suo tempo, don Leandro, in più occasioni, mi aveva considerato come suo naturale successore in Famiglia Nuova, ma io gli ho sempre risposto che mi bastava la “mia” Comunità perché preferivo condividere giornalmente la mia vita con le persone che venivano a Monte Oliveto. Il mio motto è sempre stato: “Non posso salvare il mondo intero, ma cerco di dare il meglio di me stesso a quanti mi chiedono aiuto”.
Secondo: i metodi educativi.
Nel febbraio 1993, Pal Consoli, con la presenza delle autorità civili e religiose per l’inaugurazione della nuovissima struttura Alfa Omega a Graffignana, ha invitato, come ospite d’eccezione, Vincenzo Muccioli, in quanto il suo sogno era quello di far diventare la sua Comunità la San Patrignano del Lodigiano con una ricettività finale di 200 persone. Quel giorno, pur invitato personalmente, non ero presente per impegni di famiglia fuori Regione e, sinceramente, non ero dispiaciuto. Questo mio stato d’animo del tempo può già far capire le riserve che già vivevo nei confronti di Muccioli e infatti mi sono sempre tenuto lontano da San Patrignano perché per molti anni l’ho considerata un po’ l’antitesi, a livello educativo, dei principi e della metodologia di Famiglia Nuova. Fino a oggi nelle Comunità di Famiglia Nuova e quindi anche a Monte Oliveto (oggi Il Pellicano) non esistono sbarre, cancelli o zone con reti di protezione a difesa delle persone che sono ospitate. È più facile giustificare la “chiusura” di una Comunità come difesa da intrusioni esterne, che non, invece, sostenere la necessità di tenere chiusi gli ospiti, perché non scappino.
Togliere agli ospiti la possibilità di andarsene, privandoli della loro libertà personale, è un principio sul quale mi sono sempre battuto. Ogni tanto ricordo ai “miei ragazzi”, anche se la maggior parte degli ospiti superano, oggi, i 50 anni, un episodio capitato a Monte Oliveto nei primi anni: la fuga, di notte, messa in atto da un ospite, arrivato da poco, che si è calato con un lenzuolo arrotolato a mo’ di corda, dal primo piano, quando le porte di accesso della Comunità rimanevano, giorno e notte, senza chiusura a chiave. Aveva voluto provare l’ebbrezza della fuga!
La libertà di poter scegliere
È vero, come più volte viene sottolineato nella fiction, che i primi giorni sono i più difficili, soprattutto quando nei primi anni le “scoppiature” (ovvero le crisi d’astinenza) erano a secco, senza alcun aiuto farmacologico, ma non ho mai ritenuto che la soluzione fosse quella di chiudere, legare o addirittura incatenare le persone. Quando, soprattutto i genitori, giustificano i metodi coercitivi, perché altrimenti non si farebbe nulla per impedire che la persona dipendente attiva vada verso la morte sicura, ho sempre cercato di far presente che il rischio di morte è una realtà, ma non per questo sono giustificati i metodi che privano le persone stesse della libertà di poter scegliere cosa fare della propria vita. In momenti come questi, drammatici per l’ospite che per l’educatore, ho sempre cercato di stare vicino, giorno e notte, alla persona “scoppiata” e avviare un rapporto empatico molto forte per non farla sentire sola. Quasi sempre la risposta è stata positiva. Un altro aspetto importante nelle “storie” raccontate da ospiti che sono passati, negli anni, da una Comunità all’altra molte volte (spesso anche 7/8 volte) riguarda il capitolo “punizioni”. In quasi quarant’anni di vita in Comunità (ieri Famiglia Nuova, oggi Il Pellicano) non ho mai comminato una punizione, soprattutto fisica, agli ospiti, in quanto non lo considero un intervento educativo valido, anche se non è facile far capire che una temporanea restrizione è un aiuto valido per il bene della persona stessa. Le leggi contemplano anche la punibilità e il carcere, che molti ospiti hanno sperimentato più volte, ed è un esempio che spesso lascia segni e cicatrici difficilmente sanabili. Quasi mai, però, il carcere ha portato un cambiamento nella persona, anzi, quasi sempre, gli ospiti portano negativamente in Comunità lo stigma del carcere ed è dura riuscire a sgretolare, un po’ alla volta, questo stigma.
Punizioni e restrizioni
È impegnativo cimentarsi nel campo delle restrizioni in quanto non è facile far comprendere che la punizione è l’espiazione di uno sbaglio o di una trasgressione per far sì che non si ripeta più, mentre la necessità di una o più restrizioni temporanee sono un aiuto esterno offerto perché lo sbaglio o la trasgressione non abbiano a reiterarsi.
La legge Jervolino-Vassalli
Un ultimo aspetto che vorrei toccare della fiction riguarda l’apporto e l’influenza di Vincenzo Muccioli alla stesura della legge Jervolino-Vassalli del 1990 alla quale, ancora oggi, lo Stato italiano non ha portato modifiche sostanziali. Tra gli “addetti ai lavori” e quindi anche “all’interno” delle Comunità terapeutiche italiane si è arrivati a contare, all’inizio del nuovo millennio, anche 250 strutture ed è sempre stato risaputo che il pensiero e le linee guida di San Patrignano hanno fortemente influenzato molti politici del tempo nella formulazione e nella stesura delle leggi del governo italiano. Dal momento che Vincenzo Muccioli è sempre stato drastico nel considerare ogni sostanza stupefacente (dall’hashish alla marijuana, dalla cocaina all’eroina) “droga”, superando la distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti” come ci si era abituati a esprimerci nel linguaggio del tempo, senza fondamento scientifico, ma solo per evidenziare gli effetti delle sostanze a cui si faceva ricorso, la legge Jervolino-Vassalli ha sancito queste sue posizioni. L’unico punto su cui la legge 309 del 1990 non ha condiviso il pensiero di San Patrignano è stato riguardo l’uso del metadone che Muccioli, insieme a un buon numero di Comunità terapeutiche che facevano riferimento alla sua linea di pensiero, ha sempre considerato “la droga dello Stato”.
Sostanze e reati
Le conseguenze di questa visione riguardo le sostanze stupefacenti ha portato al sovraffollamento delle carceri italiane di consumatori e di piccoli spacciatori delle “sostanze” leggere. Molti giovani, usciti dalla Comunità sono ricaduti nell’uso di stupefacenti finendo poi in carcere. La trafila si può sintetizzare in: droga-strada-Comunità-droga-carcere-Comunità, con andata e ritorno per molti anni. Anche oggi numerosi ospiti hanno vissuto più anni in Comunità che non di uso di “droghe”. In questa prospettiva una realtà come San Patrignano, che offre la possibilità di stabilirsi al suo interno, in una situazione protetta, può essere una soluzione definitiva, di vita, libera dalle “dipendenze delle sostanze stupefacenti, anche se dipendenti dalla Comunità”. Quasi sicuramente, ritornando alla legge 309 del 1990, se il pensiero di Muccioli fosse stato di minor rigidità riguardo alle possibili ricadute degli ospiti e se i politici avessero ascoltato anche altre esperienze comunitarie, tra le quali quella di don Leandro (noto moralista, sia in Italia che all’estero, prima che si dedicasse ai “drogati”) che ha sempre sostenuto l’importanza della non punibilità da applicare a piccoli reati di droga, le carceri italiane non sarebbero state sovraffollate, come poi è avvenuto, e le Comunità più considerate, sostenute, aiutate (e di minor costo per lo Stato) come realtà più consone e preparate per incidere sul cambiamento di vita dei cosiddetti “tossicodipendenti”.
Mi sto accorgendo che le riflessioni sulla fiction di Sampa mi hanno portato a riprendere e ripensare i miei lunghi anni di vita in Comunità con Famiglia Nuova e con Il Pellicano toccando aspetti e momenti con molte similitudini, ma anche con altrettante diversità e divergenze.
Potrebbe essere interessante, in futuro, riprendere alcune tematiche di fondo, in quanto emergerebbero altri e nuovi aspetti da proporre alle Comunità di oggi.
In conclusione mi sento di dire che, mentre in passato, mi sono sempre interessato a San Patrignano con molta diffidenza e qualche prevenzione, oggi non solo riconosco la bontà di molti frutti che ha generato (gli esempi di alcuni personaggi sono da ammirare per il coraggio di guardarsi dentro, di mettersi in discussione, di continuare a impegnarsi in questo ambiente di vita ancora drammatico), ma anche di quanto continua a fare per molte persone che non sarebbero in grado di continuare a vivere senza la Comunità-famiglia di San Patrignano.
Giuseppe Castelvecchio
[Chi fosse interessato ad approfondire la nascita della Comunità Monte Oliveto a Castiraga Vidardo (Lo) può richiedere (telefonando allo 0371934343) il libro L’utopia possibile che, nelle pagine centrali, racconta come è nata questa Comunità di Famiglia Nuova che è diventata nel 1991 la Comunità Il Pellicano.]
- don Leandro Rossi, Le tentazioni delle comunità, “Utopia possibile”, numero 36, novembre – dicembre 1994, p. 5 – 6
- Bruno Marchini, SanPa ancora alla ribata, 7 gennaio 2021
- Alessandra Gandelli, Una via non ideologica ma critica, 9 gennaio 2021
- Mariarosa Devecchi, E quella sensazione di chiusura, 12 gennaio 2021
- Marco Sartorelli, Un modello che conosco, quello di Famiglia Nuova, 14 gennaio 2021
- Maurizio Mattioni, SanPa e il lento rimestare della memoria, 17 gennaio 2021
- Gian Michele Maglio, Non chiamiamoci del tutto fuori, 20 gennaio 2021
- Daniela e Carlo Cavalli, Anni intensi, 24 gennaio 2021
- V.C., L’immenso stupore di esserci ancora, 28 gennaio 2021
- Enrico Battini, Quanto male siamo disposti ad accettare per fare del bene?, 1° febbraio 2021
- Tommaso Corvi, La tribù umana, 8 febbraio 2021