Le grandi figure educative non capitano per caso. Nascono anche dagli eventi della storia e Leandro è figlio di uno di questi: il Concilio Vaticano Secondo.
Quella esperienza lo ha segnato nel profondo. Negli anni a seguire ha elaborato l’idea di condividere sempre di più la sua vita con quella degli ultimi.
La notte di Natale del 1977, eccezionalmente silenziosa, gelida e buia, al Tormo, un giovane infreddolito e smarrito cerca aiuto. Bussa alla porta della canonica, Leandro apre, lo accoglie in casa.
Quel SÌ cambierà la vita al teologo e a molte altre persone.
Ben presto la canonica fu occupata da persone sole, abbandonate, che necessitavano di tutto.
Subito dopo Leandro venne trasferito a Cadilana, la sua nuova parrocchia.
Ai primi ospiti se ne aggiunsero molti altri.
Il suo impegno principale fu di prendersi cura degli ospiti (malattie e ospedalizzazione), ascoltare i parenti, scrivere ai carcerati e visitarli, seguirli nei processi, trovare nuovi posti letto…
Siamo arrivati alla sua comunità dopo due anni.
Dei primi ospiti che abbiamo conosciuto ricordiamo soprattutto i volti.
I loro sguardi ci interrogavano ogni volta che andavamo a trovarli nella loro casa, non possiamo dimenticarli.
Esprimevano sentimenti tra loro contrastanti: paura e speranza, orgoglio e docilità, indifferenza e voglia di partecipazione, diffidenza e accoglienza.
I primissimi tempi di comunità, gli ospiti erano quotidianamente occupati nella cura dell’orto.
Da bravo moralista, Leandro definiva quell’impegno “ergoterapia sui generis”.
Quella provocazione accese una proficua discussione sull’utilità del lavoro in comunità.
Convinti che ogni attività lavorativa vada pagata, non solo con un pacchetto di sigarette, ci siamo buttati a capofitto alla ricerca della forma giuridica che più si avvicinasse all’idea di comunità, fino a persuaderci che per fare questo bisognava essere una impresa: così è nata la Cooperativa Famiglia Nuova.
Sullo slancio si è avviata una attività di taglio e cucito di borse sportive, che coinvolse subito tutta la comunità.
Così, tutti gli ospiti che lavoravano in laboratorio sono diventati soci prestatori d’opera.
L’aspetto educativo è sempre rimasto il vero senso della comunità.
Eravamo convinti, e lo siamo ancora, che l’Educazione si fonda sull’idea che chi è educato non è inferiore all’educatore.
Il problema era tradurla in pratica.
In questo ambito la figura di Leandro ha svolto un ruolo vitale.
Costantemente chiedeva a sé stesso e ai volontari di mettersi in gioco, di non avere paura della libertà, di inventare e reinventare ogni giorno i metodi e le tecniche di approccio con gli ospiti, di creare dove apparentemente non esisteva nulla.
La porta di casa sempre aperta.
Tutti, ospiti e volontari, erano coinvolti anche nelle attività domestiche.
L’emergenza era all’ordine del giorno.
In quel vortice di costante cambiamento nessuno veniva escluso.
I conflitti si risolvevano senza imposizioni.
Sono stati anni per noi intensi.
Daniela e Carlo Cavalli
[illustrazione: Émile Bernerd, Autoritratto con ritratto di Gauguin, 1888.]
- don Leandro Rossi, Le tentazioni delle comunità, “Utopia possibile”, numero 36, novembre – dicembre 1994, p. 5 – 6
- Bruno Marchini, SanPa ancora alla ribata, 7 gennaio 2021
- Alessandra Gandelli, Una via non ideologica ma critica, 9 gennaio 2021
- Mariarosa Devecchi, E quella sensazione di chiusura, 12 gennaio 2021
- Marco Sartorelli, Un modello che conosco, quello di Famiglia Nuova, 14 gennaio 2021
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