Leggo con grande interesse le riflessioni sul tema dello strumento comunitario e delle varie sfaccettature che, partendo dal modello San Patrignano, propongono riflessioni in particolare sul modello e sul percorso proposto.
Io, lo sapete tutti, non sono un’esperta, non ho studiato, non ho mai vissuto la Comunità e mi sono avvicinata a questo mondo piena di pregiudizi e anche con qualche paura.
Seguo le vostre riflessioni e, forse, dovrei stare zitta. Sono però grande e ho potuto vivere, se pure a distanza, il modello proposto da Leandro ma anche da Egisto, da Mauro, da Gianni, da Paola, da Maurizio, da Marco, da Carla, da Alessandra, da…
e mi sono sempre più convinta che ciascuno ha la sua storia, ha un suo unico modo di pensare di reagire agli stimoli esterni a ciò che gli capita e certo ha anche una grande importanza il momento in cui capitano alcuni incontri. Quindi impossibile arrivare a definire “la cura”.
Certo, lo strumento residenziale ha in sé un potenziale che altri non hanno, non solo perché rappresenta una “tregua” come dice Alessandra ma anche perché può darti tempi e spazi diversi oltre che moltiplicare gli incontri e quindi anche occasioni… ed è certo che sul modello esercita un ruolo fondamentale l’impronta del Responsabile e dell’équipe. Tutto concorre e niente è uguale.
Non ho visto SanPa, non solo perché in questo momento non ne ho le energie ma anche per non rivivere storie e momenti di persone che non ci sono più e sono tante quelle che abbiamo salutato negli anni.
A San Patrignano io ci sono stata accompagnando Leandro e Nino, era stata convocata proprio là una conferenza sulle dipendenze. Il ricordo che mi porto dentro è quello di un “mondo a parte”.
Begli ambienti, molto curati, impianti sportivi a disposizione, scuola, allevamenti di cavalli, laboratori di tappezzieri, stamperia e giornalino… cucine con camerieri e chef…
Insomma, certamente un modello distante anni luce dalla comunità di Cadilana dove al break del mattino l’Angiolina proponeva pane e mortadella e un miscuglio imprecisato che chiamavano caffè…
Eppure la sensazione di chiusura, di scarsa possibilità di scelta e quindi anche di prospettive e di possibilità di emancipazione sono i sentimenti che mi hanno subito pervaso.
Non si poteva parlare con gli ospiti, non si poteva fare un giro in autonomia… cose che forse avevano un senso nel modello proposto ma a cui io non ero abituata.
Ho portato a casa allora la convinzione che ciascuno di noi ha certamente diritto a giocarsi tutte le possibilità e quindi se c’era chi trovava ristoro e ragioni per vivere in un “mondo a parte” era giusto si fermasse anche tutta la vita a San Patrignano…
Io sarei soffocata dentro quella bellissima piscina!
Mery
- don Leandro Rossi, Le tentazioni delle comunità, “Utopia possibile”, numero 36, novembre – dicembre 1994, p. 5 – 6
- Bruno Marchini, SanPa ancora alla ribata, 7 gennaio 2021
- Alessandra Gandelli, Una via non ideologica ma critica, 9 gennaio 2021
- Marco Sartorelli, Un modello che conosco, quello di Famiglia Nuova, 14 gennaio 2021
- Maurizio Mattioni, SanPa e il lento rimestare della memoria, 17 gennaio 2021
- Gian Michele Maglio, Non chiamiamoci del tutto fuori, 20 gennaio 2021
- Daniela e Carlo Cavalli, Anni intensi, 24 gennaio 2021
- V.C., L’immenso stupore di esserci ancora, 28 gennaio 2021
- Enrico Battini, Quanto male siamo disposti ad accettare per fare del bene?, 1° febbraio 2021