Sanpa la serie: un luogo dove non sono mai stata, ma comunque familiare perché familiari sono le figure che si muovono, che riprendono vita sullo schermo. Sono state sempre qui, vicine, in realtà non se ne sono mai andate, continuano a farmi compagnia nell’immenso stupore, ogni volta, di esserci ancora, di non essere solo una figura in un docufilm.
Viaggio negli 80: gli anni di Reagan, della moda made in Italy, delle TV di Berlusconi, degli Yuppies, di Candy Candy e di Drive In, dei milanesi già imbruttiti, del “volere è potere”, del sogno americano all’amatriciana ma non per questo meno potente, meno ipnotico.
Gli anni del trionfo del consumismo, degli status symbol finalmente sdoganati, rivendicati come un diritto, come un’uscita dal tunnel dei più austeri anni 70, fatti di lotte di classe e anni di piombo.
Un viaggio per nulla idilliaco, anzi piuttosto scomodo; un viaggio nello yin dello yang, in quello che, pur accadendo ora, sotto i nostri occhi, non si riesce a vedere.
E insieme all’edonismo reaganiano, gli 80 sono un fiume di eroina che dilaga, che allaga, che si divide in mille rivoli, che parte dalle periferie per arrivare al centro e viceversa, forza centrifuga e centripeta, che entra nelle case del giovane proletario, del giovane borghese, del carpentiere, del padre di famiglia, della studentessa, del giornalista, dell’impiegato del catasto, della segretaria di direzione.
Qualcuno ha detto che non esiste un drogato felice, noi lo siamo stati per breve tempo e per momenti fugaci, ma quella felicità ci ha toccato, si è impressa nella carne come un marchio, ci è entrata dentro come una canzone che parla di nostalgia, di ricordi ancestrali, che ci fa svegliare di notte singhiozzando, desiderando un tempo e un paese forse mai realmente conosciuti.
Gli ‘80, anni di grande infelicità, anni di sveglia coi brividi, di liquidi che escono da ogni buco del corpo, anni di uscire in tuta, di trascinarsi verso il metadone, verso le venti, le cinquanta, le centomila lire, aspettando ore e ore nel freddo o nel caldo torrido Marione, Er Negro, Dentino, severe divinità capricciose che possono dare e negare a piacimento e in onore delle quali si compiono sacrifici, si ruba, si mente, si imbroglia.
San Patrignano: ai tempi se ne parlava, era la prima, quella più famosa, quella conosciuta anche da chi poco o nulla aveva a che fare con l’eroina. Interminabili serate di Maurizio Costanzo Show con Muccioli attorniato dai suoi “ragazzi”, guardate con gli occhi che si chiudevano, con la voglia di smettere subito, da domani, ma anche con un po’ di compatimento per quei tipi un po’ sfigati: sfigati perché permettevano che altri li esponessero come trofei, che altri raccontassero le loro storie come esempi di lotte che però non erano state combattute da loro, che anzi, erano state combattute malgrado loro.
E a pensarci bene è proprio questo che mi dava all’epoca – anche se non ne ero cosciente – e che mi da ancora oggi un enorme fastidio: il fatto che Muccioli con il suo atteggiamento paternalistico, negasse le storie di quei ragazzi, riducendoli a degli esseri senza volontà, sorta di vegetali/animali che potevano esistere solo affidandosi completamente a un padre padrone che poteva salvare, sì, ma a patto di avere il diritto, a suo insindacabile giudizio, anche di punire, rinchiudere, incatenare.
Non voglio neanche soffermarmi a decidere se Muccioli fosse stato mosso all’inizio dal reale desiderio di aiutare o se, da imprenditore lungimirante (o comunque consigliato da imprenditori lungimiranti), abbia fiutato il business prima degli altri. Non voglio parlare di processi, di catene, di omicidi.
A me, guardando SanPa è bastato il pezzo in cui il sig. Muccioli, in favore di telecamera, con la conduzione di Red Ronnie, opera il recupero della ragazzina scappata. Di come questa ragazza fatta, disorientata, spaventata, gli si butti alla fine tra le braccia, di come lui l’avvolga sussurrando: se non fossi venuto che avresti fatto? Ti saresti trovata qualcuno che ti portava in camera per fare due marchette… Dimostrando di non rispettare lei, di non considerarla nemmeno un essere umano che magari, un domani, potrebbe anche andare in giro, lavorare, avere dei figli e non voler ricordare e far ricordare.
Dimostrando di non credere, lui per primo, alle potenzialità, alle capacità insite in quell’essere umano, ma di considerarlo solo uno dei tanti tasselli della sua costruzione, della sua fabbrica della felicità che deve essere comunque perfetta, dove il “bad ending” non è contemplato.
In realtà, ho anche conosciuto persone che grazie a San Patrignano hanno cambiato in meglio la propria vita, come ho conosciuto persone che l’hanno fatto grazie al Ceis, a Don Pierino, a Mondo X, grazie alla fede, grazie al fatto di avere avuto un figlio, grazie a un nuovo lavoro, grazie ad un trasferimento in un altro paese…
Non ci sono dati comparativi sui follow up delle varie comunità terapeutiche dagli anni ‘80 ad oggi, e se ci fossero, ho il forte sospetto che sarebbero molto simili, con più o meno le stesse percentuali di riuscita e di fallimento.
Si può e si deve cercare di aiutare le persone che hanno il problema della dipendenza, mettendo in campo tutti gli strumenti possibili, ma sicuramente
non c’è una ricetta unica e vincente, se non, forse, quella di non perdere mai di vista l’importanza della persona in quanto tale, della sua storia, della sua dignità di essere umano.
E accettare anche, a volte, la sconfitta come parte del gioco.
V.C.
[illustrazione: Rogier van der Weyden, Ritratto di donna con larga cuffia, 1440 circa]
- don Leandro Rossi, Le tentazioni delle comunità, “Utopia possibile”, numero 36, novembre – dicembre 1994, p. 5 – 6
- Bruno Marchini, SanPa ancora alla ribata, 7 gennaio 2021
- Alessandra Gandelli, Una via non ideologica ma critica, 9 gennaio 2021
- Mariarosa Devecchi, E quella sensazione di chiusura, 12 gennaio 2021
- Marco Sartorelli, Un modello che conosco, quello di Famiglia Nuova, 14 gennaio 2021
- Maurizio Mattioni, SanPa e il lento rimestare della memoria, 17 gennaio 2021
- Gian Michele Maglio, Non chiamiamoci del tutto fuori, 20 gennaio 2021
- Daniela e Carlo Cavalli, Anni intensi, 24 gennaio 2021
- Enrico Battini, Quanto male siamo disposti ad accettare per fare del bene?, 1° febbraio 2021