Dal febbraio 2021 l’Italia ha un Ministero della Transizione Ecologica (detto MITE, acronimo tutto sommato rassicurante), che ha spedito nel dimenticatoio il vecchio Ministero per l’Ambiente, assumendosi il compito di attuare tutte quelle politiche territoriali, ambientali ed energetiche che portino il Paese ad un utilizzo ottimale delle energie rinnovabili, pulite e a basso impatto ambientale.
Ad oggi, in tutto il mondo, circa l’85% dell’energia prodotta ed utilizzata deriva da combustibili fossili, con costi ambientali altissimi, come i cambiamenti climatici mostrano ogni giorni con tutta evidenza.
L’unica via possibile passa attraverso il cambiamento del paradigma del nostro modello di sviluppo, principale responsabile dello stato attuale delle cose, per passare ad un modello economico di tipo circolare. Poiché le risorse del pianeta non sono infinite, si tratta, molto semplicemente, di prendere le materie e, anziché esaurirle o eliminarle, continuare a trasformarle. Prevenire la produzione dei rifiuti, per esempio, e utilizzare in maniera alternativa quelli che vengono prodotti per necessità.
Ora, il problema è globale, ormai lo sappiamo. E come tutte le faccende umane che trascendono il singolo individuo o addirittura il singolo Paese, si pone la questione del nostro contributo personale alla costruzione di possibili soluzioni. Cosa c’entrano la nostra vita, le nostre piccole scelte quotidiane, le nostre abitudini, le rinunce, il nostro modo di stare al mondo con problemi come il surriscaldamento globale, la povertà alimentare, la disuguaglianza economica e sociale…?
Noi, così piccoli e insignificanti, cosa mai possiamo fare di fronte a problemi tanto grandi?
Davanti a domande come queste, legittime per altro, la tentazione che mi viene è sempre quella di rifarmi ai grandi temi del buddismo tibetano, quelli legati all’interconnessione del tutto. Oppure di cercare certezze nelle scienze, riportando il famoso effetto farfalla, proprio della fisica, che afferma come infinitesime variazioni delle condizioni iniziali producono grandi e crescenti variazioni nel comportamento successivo dei sistemi (famosa la frase di Douglas Adams “il battito di ali di una farfalla in Cina può influire sul percorso di un uragano nell’Atlantico”). Ognuno di noi potrebbe essere quella farfalla. Invece quello che davvero alla fine faccio, è più semplicemente pensare che tutti noi possiamo guardare all’essere umano in due modi completamente diversi.
Possiamo pensare che ciascuna vita conti, che ogni singolo individuo che viene al mondo abbia un intrinseco valore per se stesso e per il mondo, che siamo tutti pezzi unici ed irripetibili e che valga la pena sempre e ad ogni costo battersi perché questa unicità venga riconosciuta, apprezzata, amata, salvata dall’oblio della massa.
Oppure, al contrario, possiamo credere che la vita del singolo uomo o donna non sia altro che un pezzetto di un puzzle in continuo divenire, talmente indistinto e grande, da poter essere facilmente sostituibile.
Che importa se sul barcone muore proprio quella mamma con quel bambino? Avrebbe potuto esserci chiunque al loro posto e non sarebbe cambiato niente per il mondo. Nemmeno ci preoccupiamo di conoscerne i nomi. Che importa se sei stato sfortunato, se hai fatto scelte sbagliate, se la tua vita è alla deriva, se sei in difficoltà? Altri non lo sono, faranno loro la tua parte. Perché tu o un altro/a fa lo stesso. Cosa cambia, per il mondo, se tu (magari alcolista, depressa, povero, malata, vittima) ti perdi per strada? Altri prenderanno il tuo posto nel mondo e in pochi, forse nessuno, spenderà qualche lacrima sulla tua vita gettata alle ortiche. Sono due modi opposti di guardare agli individui, all’umanità, alle società.
Due modi che però hanno ripercussioni nel fare quotidiano, che c’entrano con la nostra domanda di partenza: cosa può fare, ciascuno di noi, di fronte al grande problema della transizione ecologica necessaria? Pensare che noi contiamo, ciascuno per la sua parte e quindi possiamo fare qualcosa; oppure guardare altrove, sposando l’idea che tanto nel mondo le cose vanno a modo loro, che io dia o non dia il mio contributo. I care, diceva don Lorenzo Milani: mi interessa. Potrebbe essere anche il nostro motto, a Famiglia Nuova.
Ci interessa. La vita e il dolore di chi attraversa un momento di difficoltà, le qualità personali e il contributo unico che ciascuno può dare a questo nostro mondo, che il nostro pianeta sia la casa di tutti, nessuno escluso.
Ma perché una casa possa essere accogliente, deve avere aria buona da respirare, cibo sano da mangiare, valori da condividere, bellezza da godere. Fare la nostra parte per la transizione ecologica è quindi un frammento di quella visione dell’umanità e del suo valore che noi abbiamo sempre cercato, in ogni azione, in ogni progetto, di portare avanti. Cosa facciamo, in concreto, ogni giorno?
Ripercorrendo le scelte fatte nel tempo abbiamo cercato di diffondere, attraverso scelte quotidiane, la cultura del non spreco, del riutilizzo del rispetto per i luoghi che abitiamo. Abbiamo con impegno e ricerca di risorse prestato ed ottenuto la sperimentazione di materiali che consentono costruzioni a basso impatto ambientale, riutilizziamo all’interno delle nostre strutture arredi ed elettrodomestici scartati ma in buono e spesso anche ottimo stato , abbiamo avviato insieme ad altri un processo di recupero e distribuzione di generi di prima necessità scartati dal mercato o dalla moda per il formato o la foggia poco adeguata alla grande distribuzione, cerchiamo di valorizzare piccoli produttori di prossimità per rifornirci di generi alimentari, abbiamo quasi del tutto eliminato l’uso della plastica nelle nostre strutture.
Piccole cose che speriamo possano creare cultura e diffondere buone prassi. Mi rendo conto che, di fronte a scelte che richiedono cambi di paradigma mondiali, queste sono piccole cose, quasi ininfluenti, ma siamo convinti che partire da noi, dal nostro quotidiano possa cambiare anche le scelte macro sull’economia, la disparità, il consumo di energia.
Tutte grandi questioni ormai globali prodotte da scelte di capitalismo di una parte di mondo che ha vissuto oltre le possibilità del pianeta pensando che il solo prezzo da pagare fosse la povertà di popoli interi ai quali poi dedicare qualche spicciolo.
Non è così, le risorse di questo pianeta finiranno per tutti senza però evitare disastri ambientali, conflitti per le materie prime, per l’acqua e dolore per moltissime persone che si vedono già costrette a lasciare le loro terre ormai aride o dilaniate da lotte alla cui origine stanno sempre prevaricazioni di pochi ed influenti potentati guidati dalla smania di arricchimento e di potere! Lo hanno capito molti giovani e giovanissimi.
Ascoltiamoli perché stanno giustamente reclamando forte e chiaro il loro diritto ad uno spicchio di felicità.
Mery