Eugenio Lombardo per “Il Cittadino”, 28 giugno 2013.
Ricorre domani , domenica 30 giugno, il decennale della morte di don Leandro Rossi, prete lodigiano, interprete di un sacerdozio vissuto fra gli ultimi, fra i più disperati. Fu un teologo innovatore, spesso in controtendenza rispetto alle indicazioni della morale cattolica. Alcuni dei suoi scritti, pubblicati negli ultimi anni di vita come editoriali su «Il Cittadino», rappresentarono per lui una valvola di sfogo, che non usò mai a beneficio di se stesso, ma sempre per dare voce agli emarginati.
La sua opera prosegue oggi grazie all’impegno di Famiglia Nuova e dei suoi volontari. Severino Berneri e Mariarosa Devecchi ne tracciano, in questa intervista, un suggestivo ricordo. Le loro osservazioni sono state espresse all’unisono.
Berneri, Devecchi, di don Leandro Rossi cosa resta oggi effettivamente nella Cooperativa Sociale di Famiglia Nuova?
«Lo spirito. La volontà di essere vicini alle persone che hanno bisogno: le pietre scartate, per dirla alla Leandro. Famiglia Nuova sta dalla parte della gente di strada, quella alla quale spesso si dice di no».
In che modo testimoniate questa vicinanza?
«Nelle nostre comunità ci impegnano a ridurre al massimo i requisiti che vengono posti dalle normative di carattere generale così da rispondere ai bisogni espressi dagli ultimi. Su questo indirizzo proviamo a valorizzare gl’insegnamenti di don Leandro, anche se lui era unico: non abbiamo, ad esempio, la sua capacità nel denunciare le ingiustizie. Lui in questo manifestava un indiscusso carisma».
Aveva anche difetti?
«E come! Don Leandro non era una persona dal carattere amabile. Era uno che si accendeva facilmente. Però sapeva stabilire rapporti veri, autentici. Con gli ospiti delle Comunità manifestava un’indole speciale: sapeva ascoltare, porsi negli altri, e avere sempre una risposta giusta e adeguata, anche se scomoda. Il suo carattere l’aveva spesso posto in conflitto all’interno della stessa Chiesa, ma lui l’ha detto sino alla fine: io appartengo alla Chiesa di Lodi».
Quante comunità ha oggi la cooperativa?
«Vi sono sei comunità di recupero per tossicodipendenti tra Lombardia, Umbria e Romagna. Poi una struttura come casa alloggio in Umbria, e qui a Lodi una comunità per minori, realizzata dalla “Fondazione Leandro Rossi” nel 2008, e che fu uno degli ultimi desideri di don Leandro, un progetto a cui egli teneva tantissimo».
Don Leandro vi spiegava questa sua tenacia nel volere la comunità per minori, lui che in fondo s’era dedicato particolarmente ai tossici?
«Desiderava che si facesse un’attività di prevenzione al disagio degli adulti. Come se i tormenti di questi ultimi trovassero inevitabilmente una causa nella giovinezza. Occorreva perciò agire tempestivamente, e alla fonte. Era la sua un’opera pedagogica».
Chi sono i minori che accogliete? Nel passato l’ambiente del territorio si preoccupò molto di mettersi in casa ragazzi con devianza sociali…
«In questo momento ospitiamo otto ragazzi maschi. Nessuno di quelli accolti in questi anni è stato mai interessato da provvedimenti penali dell’autorità giudiziaria. Questo proprio per sgonfiare sul suo nascere ogni preoccupazione».
E allora chi sono i vostri ospiti?
«Sono giovani che non hanno la possibilità di proseguire a vivere nelle loro famiglie d’origine, e perciò sono stati in via precauzionale allontanati, per il loro stesso bene. Non sono dunque ragazzi caratteriali o malviventi. Fra i nostri ospiti ci sono anche stranieri, e a loro offriamo pure percorsi di alfabetizzazione, tenuti dall’associazione “Tuttoilmondo”. Ai ragazzi offriamo un clima famigliare, la nostra proposta educativa prevede che loro facciano sport, frequentino la scuola, escano e si divertano, come accade in qualunque altra famiglia. Cerchiamo di responsabilizzarli anche nella cura degli alloggi».
Le vostre comunità sono dunque principalmente rivolte ai tossicodipendenti e ai minori in difficoltà?
«Non solo. La crisi economica che ha investito la società, e dunque le famiglie, ci ha suggerito di indirizzarci ad altre fasce a rischio: tanta gente ha avuto accesso da noi per ricevere beni di prima necessità, dal vestiario ai pacchi alimentari, al sostegno economico per pagare le bollette».
Sono bisogni sempre più diffusi, purtroppo, in questo periodo…
«Infatti. E proprio per questo, in collaborazione con la Diocesi di Lodi, stiamo realizzando un’iniziativa concreta, denominata “Piattaforma don Leandro”, quasi un marchio di fabbrica, attraverso la quale rispondere alle necessità e prendersi cura di quelle situazioni famigliari o individuali, che necessitino una presa in carico o soluzioni particolari. Sarebbe bello che la gente sostenesse questo progetto: c’è anche necessità di chi conferisca i beni di prima necessità, ad esempio le stesse aziende che hanno prodotti in scadenza o eccedenze sarebbero davvero preziose».
Oggi a chi don Leandro avrebbe rivolto le proprie attenzioni?
«Agli stranieri, sicuramente. A quegli extracomunitari cui viene dato la colpa di tutto. Si sarebbe esposto per loro, per offrire condizioni di inserimento nella società. Noi ne ospitiamo alcuni nella comunità di Crespiatica».