Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 22, 15 novembre 1997, p. 25.
Il 19 ottobre sono trent’anni dalla morte di Ernesto Che Guevara, assassinato in Bolivia ma nato nel 1928 in Argentina, eroe dell’America Latina. Qualcuno dice: è morto giovane, per mano del nemico ed è divenuto un mito. Se fosse campato sarebbe solo un Fidel Castro. Il potere è una grossa tentazione per tutti, ma non dobbiamo giudicare oggi il Presidente di Cuba, bensì domandarci perché il mito di Che resiste agli anni e agli eventi come il crollo del socialismo reale. Esaltato nel ’68 e negli anni ’70, riemerge oggi con le magliette che ci hanno immortalato il suo sguardo proiettato nel futuro, assieme al suo basco e al suo ciuffo.
Chi fu veramente Ernesto? Un bandito, un, vero leader, un avventuriero, un esempio da imitare o un santo, come per tanti contadini sudamericani? Certo è che non è mai stato un terrorista, non avrebbe mai approvata una estorsione, né avrebbe mai buttato una bomba nel parco pubblico o qualsiasi altra dimostrazione di codardia fanatica. I giovani che ne portavano la maglietta ieri sembravano dire: “Questi sì che era un duro!”. I giovani di oggi sembrano dire: “Questo sì che era un giusto, eroe del socialismo irreale”. C’è chi lo accosta a Spartaco, Emiliano Zapata, Sandino e persino a Gesù, per la forza (di liberare i poveri) con cui caricava la gente. Qualcuno dei militanti disse: “Per molti di noi la certezza di saperlo da qualche parte era un conforto. Mi dava l’impressione di non essere solo con i miei sogni”. Ora, che è da trent’anni morto, riesce a caricare ancora la memoria di qualcuno che per gli oppressi si è battuto.
Prima di prendere la penna mi sono chiesto: “Perche di Che Guevara guerrigliero dovrei parlarne io che sono pacifista?”. Capisco che debba parlare di Don Milani, del Savonarola, di Rosmini, di Gandhi, ma proprio di lui? La risposta mi venne una volta da un Profeta Nonviolento come don Herder Camara. Gli chiesero: “Lei che dice di Ernesto Che Guevara?”. Lui rispose pronto: “Ma il Che è dalla mia parte, vuole la giustizia. Lui ha scelto però un’altra lotta, che io non condivido. Ma siamo sempre dalla stessa parte a lottare. Il popolo unito non sarà mai vinto”.
Perché il pacifista deve occuparsi del guerrigliero armato? La risposta di don Herder è lapidaria: siamo commilitoni. Io aggiungo la risposta classica: sono uomo mi interessa tutto quello che è umano. Senza dire che c’è un violento in ogni pacifista, come c’è un pacifista in ogni violento. Non c’è un vero Nonviolento che non debba combattere dentro di sé il demone della violenza quando vede umanamente senza sbocchi il suo impegno di lotta per la giustizia e deve incassare continuamente sconfitte. Inoltre Pacifisti ed armati non debbono combattersi tra di loro, ma stringersi la mano e camminare nella stessa direzione, accarezzando ognuno il sogno di un mondo più umano.
Oggi si sente dire che chi abbraccia il mitra non è necessariamente un violento Può essere solo un disperato, come il contemporaneo don Camilo Torres, che passò dalla canonica di parroco ai boschi della guerriglia, dall’alzare il calice all’imbracciare il mitra per non far sparire la speranza in un mondo giusto. È bello sentir parlare ora dell’umanità di Ernesto, che non era un assassino, ma un innamorato della umanità povera e indifesa. Egli sapeva di sognare e di rischiare (anzi forse aveva la certezza del suo martirio), ma lo faceva lo stesso, per tener alto il grido di speranza e di vittoria. Ci viene descritto come buono, romantico umano, rassicurante, non testardo ma convinto della importanza della sua leadership per i fratelli più deboli, ma la sua leadership doveva essere democratica e ascoltare continuamente il popolo e le sue necessità. Cosi scriveva in quegli anni un altro Profeta non violento come Paulo Freire nella sua “pedagogia degli oppressi”. Egli lottatore pacifista sentiva Ernesto dalla sua parte, come un leader per delega popolare.
Da ultimo: “Era marxista?” Non contano le etichette. Allora il mondo era diviso in due. C’era il Capitalismo brutale e c’era la Sinistra autoritaria del socialismo reale. Era il suo un socialismo di copertura, un socialismo irreale, che voleva veramente la liberazione degli uomini e dei popoli, disposta a pagare con la Vita. Il suo vero sogno era l’Utopia della fratellanza, Grazie fratello Che Guevara. Dalla sponda nonviolenta: tuo fratello Leandro Rossi.