Parlare di giustizia sociale oggi è un compito arduo, e non solo per la vastità dei ragionamenti possibili, ma, in particolare, perché si corre il rischio di cadere in argomentazioni alquanto retoriche, lontane, quindi, dalle pratiche e dagli eventi che quotidianamente permettono l’esigibilità dei diritti fondamentali iscritti e adottati nella Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.
La giustizia sociale è legata indissolubilmente all’uguaglianza sociale che, a mio avviso, pone le basi per la libertà e per l’esercizio dei diritti di cittadinanza. Anche nella costituzione italiana, precisamente all’ art 3 che recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Non è come dicevo una questione di principi, anche se importanti e iscritti nella carta costituzionale, ma una questione di pratiche organizzate e di scelte di parte. Non dimentichiamoci, comunque, che anche la costituzione italiana si è fonda su una scelta sociale, politicamente connotata.
Attualmente ci muoviamo in un mondo dallo sfondo oscuro. Ancora, assistiamo a guerre violente e dal carattere imperiale ottocentesco, l’invasione della repubblica Ucraina ne è un esempio. La questione Israelo/Palestinese è ripiombata in una tragedia assoluta e la sproporzione della reazione di uno stato occupante ha già fatto più di 29 mila morti. Addio al diritto internazionale e alla giustizia sociale!!!
Stiamo vivendo, almeno nelle società occidentali, un cambio di paradigma epocale. Il rapporto sociale e, quindi, la giustizia sociale, sono sempre più definiti da un sistema di produzione e riproduzione; il neo liberismo, che veicola una cultura centrata sulle leggi del libero mercato: scambio anonimo e ineguale, modello estrattivo, ricerca del profitto a tutti i costi, concentrazione di capitali con conseguente diffusione di tendenze post democratiche.
L’insicurezza sociale domina la scena e le politiche securitarie avanzano e si consolidano in un panorama di forte richiesta di sicurezza.
Ritornando alla giustizia sociale e ai diritti su cui si fonda, dunque, possiamo affermare che essi non sono assolutamente scontati. Sono invece sempre l’esito di processi culturali politici in grado di produrre un conflitto sociale capace di mediare fra i vari interessi in campo, difendendo e sostenendo, in tal modo, le soggettività e i gruppi sociali attivi che, tal volta, sono anche quelli maggiormente vulnerabili.
Il lavoro sociale, nel nostro caso, organizzato attraverso la forma della Cooperativa, concorre e favorisce l’estendibilità dell’esercizio e della l’esigibilità dei diritti. Necessariamente agire in una cornice del welfare significa promuovere pratiche politiche orientate all’inclusione, al coinvolgimento e alla partecipazione.
Per concludere, e restando nell’ambito della nostra Cooperativa, è necessario sottolineare quanto i suoi stessi fondamenti discorsivi si appoggino e hanno contribuito a significare il concetto di giustizia sociale; si veda in proposito il testamento di Don Leandro. Oggi, senza nessuna nostalgia, se non quella per il futuro e con la consapevolezza di essere totalmente implicati, ritengo doveroso e, ribadisco, senza nessuna consolazione verso strade già tracciate da altri, rinnovare l’impegno politico e sociale nella costruzione cooperante di una nuova grammatica di ciò che intendiamo per giustizia sociale. Pertanto, continuiamo nel tentativo di generare e rigenerare un tessuto sociale sempre più sollecitato da processi disgreganti. Continuiamo a Lavorare in strada, nei quartieri e nei vicoli, insieme alle persone e alla marginalità. Portiamo cultura, innovazione, ristoro, sostenibilità ambientale, affetti, desiderio e futuro. Il rumore sordo e prolungato della battaglia lo conosciamo bene, ci sentirete arrivare.
Gian Michele Maglio