Ci penso e ci ripenso. Mi dico che non so cosa sia la felicità e però vorrei scrivere che ne vedo poca in giro, come se sapessi cos’è…
Vivo come molti al mese, corro, non sempre in avanti, per non fermarmi e pensare alla meta; mi arrabatto tra piccoli successi e piccoli (ma drammatizzati) insuccessi: fuggo dal mio bilancio sulla felicità che ho, di cui ho goduto. Non mi piace fare bilanci, figuriamoci sulla felicità.
Poi penso alla storia della mia vita e sì mi dico che sono stato anche felice, e mi si scalda un po’ il cuore.
Se la felicità è un ideale stato del vivere la mia l’ho sentita schiacciarsi per esigenza di normalizzarmi; se la felicità è un modo di vivere il momento, anziché programmare progetti per prescrivere il futuro, l’ho dovuta adattare alla normatività che chiede il vivere; se la felicità è che tendi alla tua qualità della vita, è obbligatorio avere condizioni minime e discrete di buona salute, buona cultura, buona socializzazione, buona disponibilità economica e affetti buoni, sennò di che parliamo?
Ma la felicità di cui si parlerà, con ciascun docente che dirà di sapere qual è, sarà poi quella di un giorno da pecora o 100 da leoni?
Cos’è, com’è? È gratis, o si compra e quindi chi è economicamente povero deve sapere che deve farne a meno? E quanto abbiamo capito o pensiamo che duri? Il solo giorno quando la si trova? Una settimana, quel mese e quello successivo? Durerà poi per sempre o qualcuno o qualcosa ce la potrà togliere, rubare, cancellare? È uno stato ideale dicevamo, ma lo è della mente del cuore della panza, dei 3 insieme? È condivisibile o strettamente personale, egoistico? Averlo per obiettivo nella vita, ammesso che lo raggiungiamo e che riusciamo a tenerlo stretto? Darà soddisfazione o sarà un’ansia costante per paura che diminuisca, che finirà?
La felicità è una questione di scelte individuali? È un merito?
Mi domando come persona e come educatore se posso fare di più per me e per gli altri, per la mia felicità e per quella altrui. Certo mi dico, avrei potuto fare questo e quello, e averli fatti meglio, ma so che, per lavorare per il raggiungimento della felicità, non bastano le migliori intenzioni. Troppi gli elementi avversi indipendenti dalla nostra volontà. Troppe le scelte spinte dalla rotazione del globo. Troppi i compromessi per starci dentro.
E non è per accontentarsi del niente che abbiamo, è per non disperarsi del tutto che non abbiamo. Se non avremo raggiunto e saputo trattenere una piena felicità, non sarà necessariamente stata colpa nostra.
La felicità, può essere ragionevole?
Bruno
Happycracy, saggio dello psicologo E. Cabanas e della sociologa E. Illouz, pubblicato da Codice
Cosa c’entra la felicità? Una parola e quattro storie, M. Balzano, Feltrinelli
Giovanni Truppi, La Felicità
E il 20 marzo si celebra la Giornata internazionale della felicità