Fabio Francione per “Il Manifesto”, 8 febbraio 2022.
Ancorato a una forte connotazione sociale dell’arte, a quasi 32 anni Jorit si è da tempo scrollato di dosso l’immagine dello “scugnizzo” napoletano, non dimenticando però le sue origini e, a differenza di molti cambiati dal successo, è rimasto legato alla metropoli campana e ai suoi atavici problemi.
Nei fatti, pur girando il mondo ed esportando i suoi iconici ritratti dagli Usa alla Cina e ai tanti sud del pianeta, la sua casa resta Napoli. In particolare è Quarto, agglomerato della cintura metropolitana, il luogo in cui Jorit è cresciuto e ha mosso i primi passi nel mondo della street art da autodidatta, come ci tiene a sottolineare nella conversazione intavolata a Lodi a margine del suo ultimo lavoro, il murale con il ritratto del prete di strada lodigiano don Leandro Rossi, collocato in piazzale Forni nei pressi dell’Associazione Famiglia Nuova committente e sostenitrice dell’opera.
Sempre a Quarto Jorit ha dato forma a una delle sue opere più celebri, ritraendo Maradona “per avere Diego a casa”. “Ho avvertito l’esigenza di aprire una Fondazione a mio nome che coltivi progetti di street art e costruisca una rete di relazioni con associazioni dedite al volontariato, alla cura delle marginalità diffuse, soprattutto nelle periferie. Sono già in atto collaborazioni con associazioni di Napoli, Salerno e Benevento. Ci stiamo occupando di trasferire nelle scuole a giovani e giovanissimi, ragazzi e ragazze, nuove conoscenze di come ci si possa affermare attraverso l’uso creativo di vari materiali, lavorando il tessile o realizzando murali”.
Sono dichiarazioni forti, applicate in contesti non facili, ma è l’intero movimento messo in moto da Jorit ad essere centrale nell’edificazione della sua estetica: “A me piace un’arte che esprima idee concrete. Mi viene sempre in mente il celebre film con Sordi che visita con la moglie la Biennale non capendo cosa stia vedendo. Penso a un’arte popolare, non pop, proprio popolare che tutti capiscano”.
Nelle sue parole si fa strada filosoficamente come punto di riferimento Gramsci, cui ha dedicato un altro dei suoi più celebri murali (a Firenze, in via Canova). “È il mio modo di stare al mondo, non sto ad aspettare, desidero agire. È il mio tentativo di cambiare la realtà”. E ne enuncia i testi: “Sono state le letture di Chomsky, di molto materialismo dialettico a formarmi. Ma è stata la pittura a salvarmi, sin dai primi schizzi col mio nome sui muri di Quarto. Molti miei amici dell’adolescenza non ce l’hanno fatta, E sono state le lezioni all’Accademia delle belle arti di Napoli con Nini Sgambati ad aprirmi la mente”.
Pienamente compreso nella cultura urbana e metropolitana mondiale degli ultimi 30 anni. Jorit ha le sue predilezioni “Guardo a Banksy, mi piace Blu” – pur nel distinguo degli atteggiamenti e delle posizioni prese da alcuni street artist, soprattutto nel rapporto con i media e la pubblicità. Zone del quadrilatero della moda e quartieri non ancora periferici e alcune artiere principali di Milano si vanno riempendo di una geografia d’arte urbana più legata al commercio che all’opera come veicolo di messaggi e valori condivisi. Ciò che propugna, invece, Jorit.