Raffaella Bianchi per “Il CIttadino”, 9 agosto 2021, p. 24.
Lodi al sole. Applausi per il monologo di Silvia Frasson sul fondatore di Famiglia Nuova
Ognuno ha portato a casa un pezzo del testamento di don Leandro Rossi, nei bigliettini arrotolati dalle ospiti di Santa Chiara. E tanti sono usciti scossi dal Chiostro della Provincia di Lodi, sabato, dopo il monologo “Una ragionevole felicità. Ritratti di Leandro e famiglia”, dedicato al fondatore della cooperativa “Famiglia Nuova”. Inserito in “Lodi al sole”, lo spettacolo di e con Silvia Frasson ha avuto gli arrangiamenti musicali di Andrea Checcucci e Stefano Rachini; una produzione rumorBianc(O) in collaborazione con “Famiglia Nuova” nel 40esimo di fondazione.
Nessun intento celebrativo. Piuttosto, ha detto la presidente Mariarosa Devecchi: «Ci è sembrato urgente riproporre la sua visione e il suo pensiero perché sono le nostre radici. Ancora lunga è la strada per restituire i diritti fondamentali a tutte le persone, perché ciascuno possa trovare a suo modo una ragionevole felicità».
Un diritto che è la missione di “Famiglia Nuova”.
Nel pubblico tanti collaboratori di ieri e di oggi, don Luigi Gatti cappellano del carcere e amico di don Leandro.
Laureato a Roma in diritto canonico e teologia morale, don Rossi insegnava al Seminario di Lodi. «Nel 1968 gli viene revocato l’incarico e quello di vice cancelliere in Curia. Lui continua a scrivere e insegna all’istituto tecnico commerciale. Ogni volta che non era d’accordo con il vescovo, gli scriveva lunghe lettere»: ha citato scritti e testimonianze, Silvia Frasson. “Ovunque la società emargini, lì c’è Dio. Voi che società volete? Che Chiesa volete?”, chiedeva don Leandro ai parrocchiani di Cadilana. La notte di Natale da lui era andata una mamma: reggeva il figlio, drogato. Presto i “tossici” ospitati a Cadilana erano diventati quindici. “Voi che ne pensate dell’aborto? Dell’immigrazione? Della guerra in Bosnia?” chiedeva loro, in canottiera, pantaloni larghi, zoccoli, cappello di lana.
“Signor magistrato, questo non è un tossico. È Nino, Mimmo, Mario, che ha un disagio. Aiutiamolo a Silvia Frasson nello spettacolo dedicato a don Leandro Rossi (foto Borella) fare qualcosa per la sua vita”, diceva.
Il giovane che i genitori avevano lasciato solo fuori la notte a 6 anni; che era stato abusato a 11; che si era prostituito; che don Rossi nella notte era andato a riprendere.
L’ergastolano cui ha dato fiducia, ora direttore di comunità.
Il consiglio pastorale diocesano a comunicare che il suo ruolo di parroco è incompatibile con quello di gestore di comunità. “Mio caro vescovo, mi conformo alla sua volontà. Da oggi il mio servizio agli esclusi è ancora più prezioso perché ne condivido sorte ed emarginazione. Le sono amico, ma sono più amico della libertà di fare bene, ed è giusto che si paghi”.
In un crescendo, Silvia Frasson ha portato il pubblico fino al testamento di Leandro con quel “chiedo perdono ai poveri” e “la Chiesa lodigiana cui appartengo”.
Per lei lunghi applausi, in piedi i collaboratori storici di “Famiglia Nuova”, presenti diversi testimoni. “Vedeva in me una bellezza che neanche sapevo esistesse. Nella cooperativa mi sembra di contribuire alla giustizia nel mondo, perché tutti abbiano diritto a un poco di felicità. Ad una ragionevole felicità”.