Lodi. La riflessione sul sociale
Lettera di Mariarosa Devecchi a “Il CIttadino”, 6 agosto 2021, p. 26.
“E siamo ancora qua…”, direbbe Vasco, a chiudere un anno di lavoro. Un anno difficile che per un lungo tratto mi è sembrato rubasse la vita e, per molte persone e famiglia, soprattutto in Lombardia non è stato solo in senso metaforico.
Si sono presentati scenari nuovi inaspettati, particolarmente duri in almeno due dei territori dove lavoriamo il Lodigiano e la Bergamasca, ma tutto il Paese è stato sottoposto a misure di profilassi molto stringenti.
Sfide nuove si sono presentate a molti dei nostri servizi, quelli residenziali, classificati nella categorie degli essenziali, hanno continuato a lavorare affrontando difficoltà organizzative pesanti, a cui, solo grazie all’impegno di tutti, dalla Direzione ai responsabili della segreteria a tutti gli operatori, abbiamo saputo rispondere gestendo spesso grosse criticità prima fra tutte, la mancanza di indicazioni sulle procedure, fino alla penuria di DPI (dispositivi di protezione individuale) che rappresentano invece l’unico strumento possibile per arginare contagi.
Gli altri servizi “non essenziali” sono invece stati chiusi per decreto, repentinamente, con il collocamento in cassa integrazione di tutto il personale impiegato ed il rischio di abbandonare dei ragazzi, dei bambini e delle famiglie che trovavano risposte a bisogni educativi e di cura quotidiani. Anche in questo caso, pur con le difficoltà che l’incertezza sul futuro proponeva, responsabili ed operatori non si sono arresi, hanno da subito attivato modalità di presenza quotidiana, anche se a distanza, perché lìassenza del lavoro sociale e il “prendersi cura” e questo non riguarda solo la salute fisica ma investe tutte le componenti della persona, i tempi, gli spazi, i pensieri i contesti.
Noi non ci siamo arresi, ci abbiamo ostinatamente provato e ci stiamo ancora provando a continuare a pensare al senso delle scelte, a ciò che ci rende umani nonostante mesi in cui il racconto dominante è rivolto all’epidemia a cui si risponde con azioni sanitarie e sanzionatorie di comportamenti fuori dalle regole, accompagnate come è normale che sia in società liberiste come la nostra, anche da quelle economiche.
Nel momento di chiusura totale abbiamo provato ad unirci ad altri per dare una possibilità ai senza fissa dimora, a chi quando l’imperativo e “io sto a casa” una casa non ce l’ha.
Ci stiamo provando a rimettere al centro il nostro sapere nell’accogliere, nell’educare, nell’accompagnare, in uno scenario inatteso, forse temporaneo, sperando tutti, nel frattempo, di non adattarci e ad una convivenza povera di abbracci, provando ad esserci, se pur adottando le misure obbligatorie, cercando un equilibrio tra l’essere umani anche a distanza ed il fare ciò che viene chiesto. Immaginandoci “oltre”.
Il distanziamento fisico rischia di alimentare l’isolamento sociale, di far crescere la diffidenza, la paura dell’altro, di affievolire i legami se non addirittura di azzerarli, fa emergere le differenze, le fragilità di chi è già vulnerabile.
È pertanto ancor di più il tempo o di investire in una costruzione di legami di prossimità, di alimentare la coesione sociale e attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni individuo, di mettere al centro anche e sempre di più il tema ambientale che, come hanno ben dimostrato gli accadimenti, è strettamente legato alla salute nostra ed al futuro di chi verrà dopo di noi.
È tempo di far sentire forte e chiara anche la nostra voce, unita a quella di chi vorrà interrogarsi e dare risposte nuove ai bisogni educativi, scolastici, sanitari, economici, abitativi, lavorativi.
Questo è il tempo per farlo, il momento più favorevole perché, come spesso succede, i momenti di crisi possono anche rappresentare occasioni di opportunità. Oggi sembra che i vincoli economici a cui ci siamo a volte arresi, non siano la priorità. Possiamo far volare alta la fantasia e la capacità di visione che in questi anni è mancata, imbrigliati tutti in contenitori rigidi fatti di regole e requisiti immodificabili. È tempo di sperimentare nuove risposte abbandonando quelle nicchie fatte di piccoli gruppi di simili riproponendo modelli che, abbiamo visto, sono risultati inadeguati ad affrontare emergenze che, dicono gli esperti, ci dobbiamo aspettare anche in futuro.
È il momento di far tesoro di quanto abbiamo toccato con mano dobbiamo traghettare quanto è emerso chiaramente, il ruolo fondamentale che ha avuto ed ha il lavoro di cura educativa, di aiuto sociale, di mutualità che ha rappresentato l’anticorpo sociale all’isolamento in particolare di persone vulnerabili, dobbiamo farlo emergere questo valore oltre che coltivarlo, farlo uscire da quell’aura di filantropia buonista di cura compassionevole dove viene spesso ricondotto.
Il Sociale è spesa ma anche tutela. Dobbiamo riposizionarci, stare nei e sui territori, non tanto in senso geografico quanto come contesto di relazioni e di risorse perché abbiamo visto che questo è il vero grande fattore protettivo. Curare i territori che sono fragili, attraversati da interessi divergenti, da spinte spesso contrapposte. Questo richiede anche una politica capace di ricomporre gli interessi e di portare risorse là dove servono. Dobbiamo essere capaci di far emergere e valorizzare l’energia che abbiamo visto sprigionarsi.
Dobbiamo essere capaci di costruire situazioni di confronto e riconoscimento comune di problemi valorizzando la capacità delle persone, di tutte le persone, di darsi da fare. Per ricostruire o rigenerare legami.
Dobbiamo riuscire ad agganciare ogni sforzo di partecipazione civica che può rappresentare una svolta, un nuovo modo di intendere la comunità ed anche valorizzare il nostro fare.
C’è bisogno di nuove alleanze e nuove imprese capaci di mobilitare risorse in progetti innovativi senza rinunciare a chiedere uno sforzo di ascolto e di consolidamento del ruolo pubblico nella gestione del welfare municipale e nel sistema sanitario. C’è bisogno di un lavoro tenace e continuo di tessitura che va alimentata ricreata con passione, curiosità lucidità e voglia di farlo insieme ad altri.
Questo l’impegno che il nuovo CdA di Fa miglia Nuova, sostenuto da un lavoro assembleare, si è dato per il prossimo triennio. Come sempre, sappiamo di poter contare sul contributo di tutti i nostri operatori e, uniti a chi farà il prossimo tratto di strada con noi, guardiamo con realtà e pragmatismo al prossimo anno senza abbandonare la speranza di poter favorire spazi di serenità a chi accogliamo nei nostri servizi.