Federico Gaudenzi per “Il Cittadino”, 25 maggio 2020, p. 22.
Tante difficoltà, un po’ di amarezza, ma anche tanto entusiasmo e speranza: quattro parole per raccontare gli ultimi tre mesi di Famiglia Nuova, la cooperativa sociale guidata da Mariarosa Devecchi. È lei a descrivere come la cooperativa ha affrontato l’emergenza Covid, e come sta vivendo questa ripartenza.
In questi due mesi, quali servizi siete riusciti a portare avanti?
«Fin dalla scoperta del primo caso a Codogno, abbiamo sospeso tutti i servizi educativi, ovvero i doposcuola, gli asili nidi e le scuole dell’infanzia, e abbiamo interrotto anche i centri diurni e l’educativa di strada. Questo, purtroppo, ci ha costretto a chiedere la cassa integazione per ventisei persone: non l’abbiamo fatto a cuor leggero, perché si tratta di persone che hanno famiglia, in alcuni casi di donne sole con figli. Fortunatamente, fino ad ora siamo riusciti ad anticipare la cassa integrazione, quindi le persone non sono rimaste proprio senza stipendio».
Dove, invece, avete proseguito nel lavoro?
«Ovviamente abbiamo portato avanti i servizi essenziali, ovvero le comunità terapeutiche, la comunità per minori e il centro Sprar per minori non accompagnati, oltre al centro Sprar per gli adulti, e altri servizi residenziali attivi in altri territori. Devo esprimere una certa amarezza perché, in questi settori, siamo stati totalmente abbandonati dalle istituzioni: non abbiamo avuto linee guida, indicazioni su come gestire l’attività e il personale».
In questo vuoto, come vi siete mossi?
«Abbiamo fatto tesoro dell’esperienza maturata nelle strutture per la lotta ad altri virus come epatite e Aids, e quindi in autonomia abbiamo deciso di interrompere ingressi e uscite degli ospiti e delle famiglie. Io e il consiglio d’amministrazione ci siamo assunti questo rischio, ma con il senno di poi è stata una scelta corretta, perché il vero rischio era quello che le strutture di comunità diventassero focolai di diffusione del virus, come è accaduto ad esempio in molte residenze per anziani».
Ci sono stati problemi?
«La prima grande difficoltà è stata quella di reperire i dispositivi di protezione individuale, che in certi momenti avevano prezzi inaccessibili. Per questo dobbiamo sicuramente ringraziare la Fondazione Comunitaria, che ci ha sostenuti. Un altro problema era legato agli operatori residenti nella zona rossa, che per un lungo periodo non sono potuti venire al lavoro: questo ha richiesto uno sforzo importante a tutti gli altri, ma in generale devo dire che tutto il personale ha dato il massimo, ha offerto una risposta incredibile di fronte alle necessità».
Si può fare qualche esempio?
«Beh, sicuramente c’è il caso dell’unico nostro utente risultato positivo al Covid: si tratta di un minore che era appena arrivato in Italia. Abbiamo preso contatto con tutte le istituzioni, ognuno ha fatto la sua parte, l’abbiamo dovuto isolare nell’appartamento in cui era sistemato, e una équipe di quattro persone, tra cui un mediatore culturale, l’ha seguito a distanza giorno e notte fino ad oggi quando, dopo più di sessanta giorni, il tampone ha certificato la guarigione. Devo fare i complimenti a lui, perché si è comportato benissimo, e a tutti quelli che l’hanno assistito».
Ora, come state affrontando la Fase due?
«Questa ripresa potrebbe essere ancora più rischiosa, perché bisogna far ripartire i servizi, pensare al ricongiungimento dei parenti e quant’altro. Purtroppo, di alcune categorie, come per la fascia 0-3 anni o quella delle persone con disabilità, nessuno ha mai parlato, e mancano dei protocolli certi. Da parte dei nostri operatori c’è grande propositività, ma io stessa mi trovo costretta a frenare l’entusiasmo perché bisogna fare i conti con il quadro normativo, che stiamo ancora aspettando».
In mezzo a tanta sofferenza e tante difficoltà, cosa si può imparare da questa pandemia?
«Io in questi mesi ho visto tanta solidarietà. Penso ad esempio a chi ha donato al Centro di raccolta solidale, oppure alle persone, anche professionalità qualificate, che si sono offerte volontarie per portare aiuto ai senzatetto. Sarò una inguaribile romantica, ma penso che quando ti accosti, anche senza volerlo, alle povertà, queste in qualche modo ti cambiano, e non ne esci indifferente. Per questo ho la speranza che tutta questa solidarietà non si fermi, ma prosegua anche dopo l’emergenza».