Andrea Soffiantini per “il Cittadino”, 17 ottobre 2017, p. 4.
Domanda: “Guardavi la televisione in Mali?”. Risposta: “Non l’avevo in casa, vedevo dei piccoli aggiornamenti sportivi, degli speciali su Zidane, sulla Coppa d’Africa e la Coppa del mondo. Poi guardavo le immagini del telegiornale francese”.
Altra domanda: “Avevi informazioni sul viaggio prima di arrivare in Italia?”. Risposta: “Non avevo informazioni…”. È così che Aboubacar Kane, 29 anni, dal 2016 a Graffignana, aveva risposto nel settembre 2016 alla giornalista Raffaella Bianchi nel libro “Da che punto guardi il mondo”, scritto insieme a Manuela Bertuletti e pubblicato all’inizio dell’anno. Ospite giovedì scorso, affiancato sempre dalla coautrice del libro, all’oratorio di San Bernardo alla prima parte dell’incontro “ViaggiAttori nell’incerto” curato dalla cooperativa Famiglia Nuova (appuntamento della quarta edizione di “Caleidoscopio Fest. I colori della mente”, il festival di promozione sociale dedicato ai temi del disagio psichico e della salute mentale, organizzato dall’Associazione Curiosamente in collaborazione con la cooperativa Famiglia Nuova, il Centro di psicologia e psicoterapia Noesi, la cooperativa Microcosmi e il Mosaico Servizi) il giovane, diplomatosi in informatica nel suo Paese e ora ospite del Trianon di Graffignana gestito dal Movimento lotta contro la fame nel mondo, ha raccontato altro di sé: del suo corso di lingua italiana a Sant’Angelo e del suo stage alla biblioteca comunale sempre di Graffignana. Ed ha richiamato le immagini di un Mali «dove non c’è lavoro, sempre indietro ad ogni livello, anche informatico».
Il libro questa volta è però rimasto chiuso. Con dentro anche quelle sue parole, “non avevo informazioni…”, uguali a quelle di tanti altri giovani come lui, viaggiatori nell’incerto.
Diretti verso altri mondi, altre regole, altre abitudini. «Molti migranti – ha osservato Raffaella Bianchi –non hanno consapevolezza di quello troveranno dopo il viaggio. La scarsa informazione nei paesi d’origine non permette di capire ciò che avviene in altre realtà. Ciò che dovremmo fare, dove possibile, è andare nelle scuole di quei paesi a parlare ai ragazzi. Perché soltanto spiegando quello che succede qui, e dando loro tutte le informazioni necessarie, potranno capire se partire oppure no».
Intanto però dall’Africa si continua a partire. E i migranti sono qui, tra noi. «Per capire la loro cultura serve un atteggiamento da apprendisti – ha osservato Roberto Bestazza, relatore alla seconda parte dell’incontro, psicologo e psicoterapeuta, presidente della cooperativa Terrenuove -, bisogna uscire dagli slogan e capire i dati di fatto, le diagnosi di senso comune sono del tutto inadeguate, non dobbiamo andare incontro a delle etichette ma a delle persone».
Il primo errore che commettiamo, ha ammonito il relatore mettendo a fuoco il tema in una prospettiva etno-psichiatrica, «è quello di sovrapporre il nostro modello di vita al loro. Dobbiamo invece imparare a storicizzare i comportamenti e ad entrare nel campo delle incertezze, perché non c’è nessuna teoria capace di spiegare la complessità dell’essere umano. Ogni migrante è testimone della sua cultura, ed è la cultura che fabbrica gli individui. La migrazione è un fenomeno che esiste da quando esiste il mondo, ma quella di cui si parla è una migrazione che comporta una dislocazione involontaria dell’individuo, determinata dal non avvertire più come propria la vecchia casa e dalla necessità di trovarne una nuova».
L’appuntamento all’oratorio di San Bernardo si è concluso, dopo un buffet etnico, con lo spettacolo teatrale “Me ne vado” di Marcela Serli, argentina di Tucuman.