Elisa Crotti per “Il Cittadino”, 27 maggio 2005
Alla cooperativa sociale Famiglia Nuova di viale Italia non ci si pone il problema di uscire dal “tunnel della droga”. Semplicemente, perché la tossicodipendenza non viene considerata come un tunnel, un periodo sospeso che la persona vive in attesa della luce. Al contrario, la dipendenza da sostanze psicotrope rappresenta – come in realtà è – una fase dell’esistenza, una particolare componente del quotidiano che non è tanto una causa quanto un’espressione di un disagio.
Quindi, è proprio su quest’ultimo che si deve lavorare, se si vuole migliorare la situazione di chi ha chiesto un aiuto.
«La definizione di tossicodipendenza proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – spiega il presidente Egisto Taino – è chiara: si tratta di una malattia cronica recidivante. Il che significa che non è rilevante se la persona in un certo periodo fa uso di sostanze, in quanto è prevedibile che possa ricadere. Inoltre, essendo considerata una malattia, la risposta non deve prevedere approcci di ordine morale o religioso, ma clinico e relazionale».
In altri termini, a Famiglia Nuova gli obiettivi si raggiungono attraverso passaggi graduali. Non c’è un interruttore che, acceso o spento, determina la condizione della persona: “drogato” o “non drogato”. E anche il ricadere nella dipendenza fa parte di un percorso di crescita, la cui meta è ben chiara: cambiare, per il proprio benessere. Il tutto, nel rispetto della persona e delle sue attitudini, aspettative ed esigenze.
Una visione molto concreta, legata alla realtà dei fatti e che appieno risponde alla filosofia storica di Famiglia Nuova.
«L’associazione Comunità Famiglia Nuova – illustra Mariarosa Devecchi, consigliere della fondazione Don Leandro Rossi – era nata nel 1979 senza finalità specificamente legate al mondo della droga. L’idea era di aiutare chi si trovasse in condizioni di bisogno, prestando attenzione alla centralità della persona e al rispetto dei suoi diritti. Poi, l’emergere del fenomeno della tossicodipendenza e l’assenza di una risposta da parte dei servizi pubblici, ci ha portato ad orientarci in questa direzione. Inizialmente un pugno di ragazzi venivano ospitati nella canonica di don Leandro a Cadilana. Con il tempo, considerato che la domanda era consistente, si è avvertita la necessità di proporre una struttura più articolata e si è optato per la residenzialità».
E così, nel 1981, ha visto la luce la cooperativa: ventidue soci fondatori, tanto entusiasmo, e mille sfide da affrontare. A partire dalle strutture, oggi sette comunità residenziali, a Crespiatica, Cornovecchio e Graffignana, e quindi nel Piacentino, Bergamasco, Pavese e in Umbria. Un investimento ingente, garantito anche dal contributo di don Leandro in persona.
E più che di comunità, in questi casi forse si potrebbe parlare di famiglie allargate: quindici, al massimo venti ospiti, tutti uomini. I motivi di tale scelta sono evidenti: «Da un lato – continua Taino – i numeri relativamente bassi consento un approccio terapeutico più efficace. Dall’altro lato, il fatto che non vi siano donne consente di evitare situazioni di affettività attiva che spiazzerebbero, arrivando a complicare non poco il percorso». In fondo, se si vogliono raggiungere dei risultati, c’è pur sempre un fio da pagare.
«Una svolta importante – continua il presidente – è stata poi rappresentata dal concetto di bassa soglia, che sottintende un’accoglienza e l’individuazione di progressi adeguati alla persona, con strumenti fino a poco prima non contemplati, quali gli psicofarmaci e le sostanze sostitutive, come il metadone».
Così, alla Famiglia Nuova, complice una visione attenta alle esigenze e innovativa, si lavora con le persone. Il primo passo? Capire chi si ha davanti e cosa porta con sé «Dal punto di vista della salute – aggiunge Taino – giudiziario e anche lavorativo. A quel punto, è possibile ipotizzare un percorso i cui obiettivi sono commisurati alle risorse della persona secondo una logica di crescita e di continua espressione delle potenzialità».
Prendere quindi ciò che di positivo c’è in ciascuno, è il punto di partenza per iniziare e sostenere il percorso del cambiamento. E lavorare sulla volontà, il grande tasto dolente di chi, per definizione, dipende da qualcosa. Il che, ovviamente, necessita di personale più che qualificato.
Il mondo delle tossicodipendenze è in continua evoluzione: ha una diffusione estesa e capillare, oggi più che mai, ed è divenuto un fatto individuale.
«Paradossalmente – spiega Taino – alle comunità e al Sert accedono per il novantacinque per cento gli eroinomani. Questa è in assoluto la sostanza meno usata. Il che dimostra come da un lato alcune droghe producano meno coscienza delle propria condizione e, dall’altro lato, come i servizi e le comunità non siano riusciti a stare al passo con l’evolversi dei fenomeni».
Quindi, bisogna conoscere unmondo tanto variegato, necessariamente.
«Non ipotizziamo – commenta Taino – che il miglior operatore sia il “tossico redento”. Al contrario, riteniamo che sia necessaria una formazione specifica». E in effetti alla Famiglia Nuova si trovano laureati in Scienze dell’Educazione e psicologi, oltre che educatori professionali e assistenti sociali. Affiancati dal lavoro di psichiatri ed esperti nella gestione di gruppi, si tratti di teatro o arteterapia.
Ma che ne è poi di chi esce dalla comunità? Quando dopo un anno e mezzo il percorso di crescita è terminato, cosa accade? È questa la domanda più pressante, a cui Famiglia Nuova non poteva che dare una risposta.
«Per garantire il passaggio graduale dalla comunità al territorio – spiega il presidente – abbiamo realizzato dei gruppi appartamento a Castel San Giovanni e a Pianello Val Tidone, convenzionati con la Regione. Qui sei persone, alcune provenienti dalla comunità altre direttamente inserite, vivono una dimensione famigliare e si gestiscono in autonomia con un operatore. Hanno un lavoro e si ritrovano in riunioni serali, per confrontarsi e scambiarsi idee e punti di vista».
Insomma, progressivamente, trovare un’alternativa è possibile.
E se anche apparentemente sembra lontana, tutto fa parte di un “gioco” con delle regole ben precise: sbagliare rientra nel percorso da compiere per cambiare e per stare, finalmente, bene con se stessi.