Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 15, 1° agosto 1998, p. 27.
Il tema è tornato recentemente di attualità per vari pronunciamenti di persone religiose e laiche: vescovi e politici. Sono tornato anch’io a leggermi il Concilio, per ricordare quanto ha detto su Chiesa e Politica, a cominciare dall’affermazione: «La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico… non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale. La Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame fortissimo tra le diverse comunità umane e nazioni» (Gaudium et Spes 42). Cristo stesso non volle essere un Messia politico e dominatore (Libertà religiosa, n. 11). Ci sarebbe da scrivere un libro. Mi accontenterò di offrire solo qualche spigolatura.
La Chiesa non deve essere legata a nessun sistema politico. Deve prima fare l’Avvocata dei poveri che rivendicare qualcosa per se stessa. Quando il Papa va all’estero e difende i diritti umani della povera gente, il cristiano ha la consapevolezza che dice la cosa giusta nel posto giusto. Non difende se stesso, ma gli uomini che soffrono. Diverso è invece quando i vescovi toccano i partiti o richiedono i finanziamenti per la loro scuola. Costituzione a parte, possono avere ragione se non rivendicano privilegi, ma il cristiano sensibile soffre per l’insistenza, per l’appoggio che pretendono dai parlamentari, per la minor fiducia che mostrano nella forza del Vangelo rispetto a quella del potere. Potranno essere anche cose necessarie: «Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertale dalla autorità civile» (G.S. 76). A giudicare oggi con fede, la perdita del potere temporale, e il sequestro dei beni ecclesiastici, ieri giudicati uno sfacelo ora ci sembrano dettati dalla Provvidenza.
Un secondo punto ci è stato offerto recentemente dal Card. Martini molto a proposito. «Bisogna distinguere tra principi etici assoluti e l’azione politica. Perché talvolta in politica è opportuno accettare un bene minore, o tollerare un male minore rispetto a un male maggiore». (Sono andato subito a cercare la citazione di S. Tommaso: Summa Theologica I-II.Q.96.A.2). «Non si può ammettere il male morale. Ma bisogna essere pratici: ‘meglio avere una legge imperfetta, che non averne alcuna’»: Ad es. in tema di fecondazione assistita. Lo dice anche l’Enciclica sulla Vita: «La pubblica autorità può rinunciare talora a reprimere quanto provocherebbe – se proibito – un danno più grave» (n. 71). E prosegue in tema di aborto, accettando un voto parlamentare che risultasse determinante per favorire una legge meno permissiva sull’aborto, tale intervento sarebbe mirato a limitare i danni di una tale legge (n. 73).
A proposito di distinzione tra principi etici e scelte politiche, ricordo che risultò molto chiaro alcuni anni fa un intervento dei Vescovi Svizzeri sugli immigrati, che diceva così ai politici. Non accettiamo una soluzione xenofoba del problema, perché questa povera gente ha lavorato da noi a produrre ricchezza per tanti anni e, cacciata, si troverebbe in estrema difficoltà. Le soluzioni politiche sono tante e le dovete trovare voi. Noi Vescovi però vi diciamo che è inaccettabile quella razzista: a ciascuno il suo.
Una terza spigolatura ci porta a distinguere il problema morale da quello giuridico di depenalizzazione. Moralmente l’aborto è illecito; ma non è detto che lo sia sempre anche penalmente (un reato). Abbiamo già citato il principio tomista, che serviva anche a tollerare le case chiuse. Anche Pio XII diceva che il male lo si può tollerare (non approvare) per evitare il peggio. Fortunatamente quelli che chiamiamo «abortisti» in realtà spesso non lo sono, perché non favorevoli all’aborto tout court (né politici, né donne, né radicali); ma valutano solo un minor male la depenalizzazione, perché sarebbero peggiori per rischio e più numerosi quelli clandestini. Come un antiproibizionista potrebbe voler ridurre gli aborti, così un altro potrebbe benissimo voler eliminare le droghe.
Un’ultima spigolatura dal Vaticano II°, tolta dal decreto sull’Apostolato dei laici. Raccomanda la collaborazione: «Si sforzino i cattolici di cooperare con tutti gli uomini di buona volontà, nel promuovere tutto ciò che è vero, giusto, santo e tutto ciò che è amabile (Filip 4,8). Entrino in dialogo con essi, prevenendoli con prudenza e gentilezza, promuovano indagini circa le istituzioni sociali, per portarle a perfezione secondo lo spirito del Vangelo» (AA. 14), il passo riecheggia l’ottimismo di Papa Giovanni.
[illustrazione: Paolo Veronese, San Gerolamo e donatore, 1563, particolare]