Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 16-17, 15 agosto 1997, p. 49.
Abbiamo già espressi i motivi della nostra avversità alla pena di morte (Rocca 9/97). Ora ci complimentiamo con il Papa perché nella perorazione per O’Dell ha detto: « Solo Dio e padrone della vita o della morte». E la prima volta – per quanto ci consta – che il Magistero supremo della Chiesa si è espresso in termini così decisi e universali, più della stessa enciclica su «Il Vangelo della Vita» e del Nuovo Catechismo della Chiesa universale. Difesa totale, dunque, senza le due solite eccezioni infide: «la difesa assoluta e per la vita “innocente”» ; «la proibizione della uccisione non riguarda l’autorità ». Quando non ci sono i teologi ad arzigogolare, la verità fluisce con maggior sicurezza!
In questi giorni si è avuto al Senato il primo si all’abolizione anche dell’ergastolo. E giusto decidere di coscientizzarci in merito. La prima obiezione, la più naturale e ricorrente è: « Già non abbiamo la pena capitale. Ora ci volete togliere anche l’ergastolo? Come faremo a difenderci dai delinquenti che crescono?» Sì, rispondiamo. Siamo proprio noi che respingiamo il massimo della pena come l’usurpazione disumana di un diritto, che proclamiamo ora che: « L’ergastolo è peggio, perché uccide anche la speranza».
Si può vivere in miseria, oppressi continuamente, in detenzione lunga…, ma quando se ne attende il termine, allora c’è motivo per vivere e per sperare. L’ergastolo, invece, uccide la stessa speranza è una pena centellinata, è una tortura a vita! Resta inconcepibile come possa essere sostenuta anche da gente che ritiene di avere sensibilità umana per il prossimo. E del tutto contrario a chi, con mentalità cristiana, prega dicendo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Noi chiediamo perdono per noi stessi, pur opponendoci a che il Signore perdoni gli altri, anche se sono pentiti. Che sorta di logica è mai questa?
Ma soffermiamoci pure su gli argomenti laici. Francesca Scopelliti, senatrice di «Forza Italia», riconosce che l’ergastolo è punizione inutile come deterrente. Lo stesso risultava anche per la pena di morte, da tutti i rilievi sociologici e statistici. La repressione non frena, semmai esaspera, peggiorando tutto e potenziando l’efferatezza del crimine. Dunque l’ergastolo non serve a trattenere dal compiere crimini. A che serve allora? Forse alla emendazione del reo, che è il fine principale della legge (compresa la nostra Costituzione)? Neppure! Anzi tanto meno. Se uno dal carcere non esce più, che motivo ha di cambiare mentalità? E se l’avesse cambiata, come potrebbe dimostrare alla società la sua conversione, cioè la determinazione ferma a ripagare il male fatto alla società con il bene che invece dopo farà?
Non mi si dica che chi ha ammazzato non cambierà più! Ciò è umanamente falso e cristianamente una bestemmia contro il Perdo-
no divino. Non cito il Fra Cristoforo de «I promessi sposi», il quale pure da assassino è diventato un Santo (anche se probabilmente non sarà solo un’invenzione di Alessandro Manzoni); ma citerò ad esempio Alessandro Serenelli, il diciottenne uccisore di S. Maria Goretti, che dopo 28 anni di pena, ormai libero, decise di passare gli ultimi decenni della vita segregato volontariamente nella Trappa, per finire di espiare la sua colpa. Anch’io ho conosciuto personalmente due ex-ergastolani che divennero non solo onesti, ma addirittura delle sante persone, tutte protese nel fare del bene agli altri. Chi è veramente cambiato, perché dovrebbe restare a lungo a marcire nel carcere, anziché uscire per aiutare i fratelli? Che forza di convinzione (nel resistere al male o nello stimolare gli altri a fare il bene) potrebbero sprigionare!
Ma gli altri paesi cosa fanno? Ci sono paesi civili che hanno tolto la pena dell’ergastolo a vita? Sì. Ad esempio la Spagna (cui si è associato ora anche il Portogallo). Il nuovo Codice spagnolo non prevede più l’ergastolo, ma 30 anni come massimo della pena. Come fare allora a difendersi? Proprio in questi giorni la Spagna si è mobilitata contro l’assassinio del giovane consigliere comunale, assassinato dall’Eta. Mi hanno fatto una enorme impressione quelle mani alzate che scandivano assieme un forte no di disapprovazione. Ecco, mi sono detto: la forza della difesa popolare nonviolenta! Era una forza superiore a quella delle armi e della detenzione, perché forza di coscienza. Di qui la nostra utopia: che non si scambi più la giustizia con la vendetta; e che indietreggi la forza ed avanzi invece il diritto e la coscienza. Siamo «tutti responsabili di tutto» (D. Milani).
[Immagine: Giovanni di Paolo, San Giovanni Battista in prigione, 1455-60, particolare]