Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 11, settembre-ottobre 1990, p. 23.
Nel 1990 ricorre il decennio della morte di Oscar Romero, l’arcivescovo di El Salvador assassinato dalla destra al potere nel suo paese martoriato. È bene rievocarne la figura e ricalcare la lezione della storia. Romero non è mai stato un prete progressista. Forse per questo è stato scelto come vescovo della capitale del Salvador. La sua figura non era quella del lottatore, ma dell’asceta umile e rispettoso. Eppure, come disse lui stesso, si è lasciato convertire. Questo, con gli occhi aperti, ha capito subito che il governo perseguitava gli oppositori e sfruttava la povera gente, non disdegnando gli squadroni della morte. Allora ha fatto la sua scelta di campo: con i poveri e gli oppressi, sfidando il potere didattoriale.
Cominciarono le intimidazioni, le persecuzioni e le minacce continue. Ma lui procedeva imperterrito. I “ben pensanti” gli dicevano: “Guarda che ti faranno fuori…”. Ma lui niente.
Quegli stessi benpensanti che avrebbero commentato dopo: “Glielo avevamo detto. Se l’è voluta la morte”. È proprio questo rimprovero sprovveduto che ci dice che il suo assassinio fu un martirio, perché accolto per la sua fede in Dio e negli uomini, come “suprema testimonianza d’amore”.
Il 23 marzo 1980, in una omelia, aveva detto due cose. A carter e agli americani: le armi sono sempre le vostre e i morti sono sempre i nostri. Ai soldati del Salvador: “Se vi ordinano di sparare contro i vostri fratelli, ribellatevi: si deve ubbidire a. Dio”. Aveva osato criticare l’America ed elogiare l’obiezione di coscienza dei soldati. Aveva firmato la sua fine. Il giorno dopo gli squadroni della morte lo uccisero all’altare (con la complicità dei governanti), mentre lui diceva le parole della consacrazione: “Questo è il mio sangue sparso…”. La messa, memoria e testimonianza al presente.
Dieci anni dopo il suo paese è ancora martoriato. I profeti non hanno fretta. La loro testimonianza sfida i secoli. Ma non abbiamo capito niente neanche noi occidentali e cristiani.
Il vescovo militare Morra ha potuto dire ai cellini, al meeting di Rimini, in risposta alla domanda di un cattolico sulla crisi del Golfo: “In alcuni casi è lecito sparare al nemico…”. E ha criticato l’obiezione di coscienza: “Ci sono anche considerazioni di comodità poco condivisibili”. È vero. Ma gli accenti sono esattamente opposti. Quelli di Oscar Romero sono gli accenti del profeta scomodo e del testimone coerente, che firma con il sangue le sue convinzioni. Dall’altra parte c’è il conclamare a parole i militari come operatori di pace e non di guerra. ” I militari vanno nel Golfo non per sparare, ma per garantire quello che è stato deciso dall’ONU”. Si, ma ci vanno “armati” a testimoniare la pace! E neanche l’ONU è titolare del diritto di guerra. “Pace si, pacifismo no”: vuol dire in realtà militarismo e diritto del più forte. Il Papa ha diffidato gli U.S.A. dall’intervenire nel Golfo; ma pochi sembrano credergli, purtroppo. Mentre il “Se vuoi la pace, prepara la guerra” è ancora nella testa di tanti, a cominciare da noi cristiani “perbene”.