Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 8, marzo-aprile 1990, pp. 16-17.
Domenique Chenu è morto quest’anno a 95 anni di età nel suo convento domenicano di Parigi. Ha insegnato alla Sorbona e fu rettore della facoltà di Saulchoir. Fu studioso di teologia e di storia, soprattutto del medioevo. Si considerò un grande ammiratore di Tommaso d’Aquino, che occorreva però storicizzare, per risolvere le questioni nuove poste dal nostro tempo. La sua era una fedeltà creativa. Ma gli altri non l’hanno compresa. Così fu esonerato dall’insegnamento ed esiliato in Belgio nel 1942, quando fu messo all’indice il suo volume “Una scuola di teologia”.
Chenu continuò a studiare nell’ombra per un ventennio, conservando la sua serenità di spirito. Un giorno il Cardinale di Parigi lo chiamò e gli disse: “Non si rattristi, padre, fra vent’anni tutti parleranno come lei”. Difatti vent’anni dopo Papa, Giovanni convocò il Concilio e lanciò quei “segni dei tempi” che gli erano così cari. Finalmente la chiesa apriva tutte le sue finestre sul mondo, come volevano appunto l’ottimismo e la capacità di dialogo di questo teologo. La riabilitazione però non fu ufficiale. I curiali romani non lo invitarono al Concilio, ma egli vi partecipò come teologo privato del vescovo del Madagascar, che era stato suo alunno e che giustamente lo stimava.
Alcuni studiano la storia passata per chiudersi al presente e diventare elogiatori del tempo che fu. Pare incredibile, invece, come Chenu sia riuscito ad aprirsi al presente, proprio grazie alla sua grande conoscenza del passato.
Trattò questioni altamente specialistiche e sofisticate. Ma si occupò pure della Joc (gioventù operaia), dei preti-operai allora perseguitati, delle comunità di base e così via.
Io lo incrociai solo di striscio su “Famiglia Cristiana” e fu per me una grande lezione. La rivista aveva fatto una inchiesta su “i rapporti prematrimoniali”. Io fui uno dei tanti lettori che risposero; ma fui individuato come teologo e la rivista pubblicò la mia risposta con rilievo e per intero. Sullo stesso numero compariva anche una sua risposta, scritta da teologo, da educatore, ma anche da poeta e da amante della verità.
Io l’ammirai, perché vidi subito che era molto più bella della mia.
Nel frattempo, ingenuamente, mi consolai:”Se Chenu ottantenne è più coraggioso di me, passerà anche la mia risposta che distingue tra peccato oggettivo e peccato soggettivo, riconoscendo che tanti, fidanzati compivano l’amplesso onestamente, senza sentirsi separati dall’amore di Dio”. E invece no. Il mio articolo fu bersagliato e il suo fu accolto. Sapeva essere anche un bravo giornalista e psicologo. La lezione non la dimenticai più.
Qual è dunque il messaggio che si può ricavare dalla sua lunga vita. Anzitutto l’ottimismo, l’apertura: egli fu l’uomo del futuro. Studiando la storia si apriva all’intelligenza della realtà. Era l’uomo della speranza. Poi l’umiltà. È stato lucido fino all’ultimo, capace di apprendere. Diceva che imparava sempre dai suoi discepoli, e che nella storia, come negli uomini, lavorava lo spirito di Dio. Infine la pazienza, la tolleranza e la resistenza. Non si ribellò al giudizio che era stato dato di lui, ma seppe attendere, forte dell’approvazione della sua coscienza, della sua scienza e della sua esperienza. Non rinunciò alla fede, conservò la profezia, additò orizzonti e prospettive che il futuro ha dichiarato vincenti. Ed ebbe anche la consolazione di vedere il suo ottimismo premiato anche per i rivolgimenti della Europa dell’Est. Dio non paga il sabato.