Il terzo martedì di marzo si celebra la Giornata mondiale del Servizio sociale.
Rivolgiamo a Luisa Sanvito, storica Socia e collaboratrice di Famiglia Nuova, alcune domande relative a come ha vissuto e dedicato una vita al Servizio sociale
Cos’era ai tuoi tempi il Servizio Sociale?
I miei tempi! Era tantissimo tempo fa, tanto che fatico a ricordare! Ricordo però che ero affascinata da un percorso scolastico para universitario che coniugasse fortemente una parte di studio umanistico/sociale e una parte di tirocinio molto pratico nei Servizi esistenti. Poi il lavoro nei Servizi, sempre interessante! Ma allora la parola “servizio” aveva un significato. Oggi i Servizi si difendono. Qualcuno si arrischia e dice “servizio di prossimità”. Interessante. Speriamo!
Era un tempo molto bello, non perché ero giovane, anche, ma perché portava un’opportunità di rinnovamento, di miglioramento, di interrogativi, di ricerca. Di Servizio, appunto, nel senso più nobile della parola. Per me ha sempre rappresentato la mia restituzione alla società, alla vita, il mio impegno per un mondo migliore. L’ascolto attivo che rimette al centro la persona con il suo dolore, il suo disagio, ma non la sostituisce. La riconosce competente, capace, magari da supportare un po’, da accogliere. Mai da sostituire. Su questo concetto di “mettere la persona al centro” si sono spese molte parole, ma ho incontrato poche persone veramente capaci di rispettare la diversità dell’altro, senza un giudizio.
Aiutare a dare parole al dolore, come diceva Cancrini, per iniziare insieme un lavoro di cura!
Cos’è oggi?
È difficile dire così, sui 2 piedi, ciò che è oggi!
Sicuramente diverso da allora, in alcune cose è meglio, in altre peggio. O meglio: è diverso, perché sono cambiate molte cose. Bisogna rileggere la storia dei Servizi con occhio intelligente per capire perché è diverso, quali cose sono cambiate, quali cambieresti e perché.
Avrei voluto, andando in pensione, rifare l’Università, per avere il metodo per una rilettura oggettiva di ciò che sono i servizi oggi, ma le cose sono andate diversamente; ma, non si sa mai!
Comunque, mi ha dato così tante cose la mia professione, che troverò il modo per fare una messa a punto. È come dire che un Medico, se va in pensione, ha chiuso con la medicina. E’ impossibile. Avrà sempre uno sguardo che cura, che si prende cura, che si interroga. Anche uno sguardo più libero, meno pressato dai carichi di lavoro, con maggiore possibilità di approfondire.
La passione per il sociale ce l’avrò sempre!
Dicono oggi che l’Assistente Sociale ha molto potere, cosa ne pensi?
Il vero potere c’era anche prima, dipende da come lo usavi.
All’interno dell’Ospedale pubblico dove lavoravo ho visto cose meravigliose, sempre legate alla cura, al prendersi cura. Il parto (lo hanno chiamato “l’umanizzazione del parto”, ma lui è sempre stato umano!), l’accompagnamento alla morte, i servizi territoriali, l’integrazione sociale e sanitaria, i diritti essenziali, la lotta alle disuguaglianze, la salute mentale con il prorompere di creatività e competenze, gli invisibili con le loro storie e i loro dolori.
Poi ancora il carcere, il centro clinico, la riabilitazione, l’inclusione, la speranza, la scuola, l’Aids.
Perché scegliesti quella formazione?
Credo proprio perché quello era il tempo giusto per fare quel tipo di scelta. Mia sorella, più grande di me di 1 anno e mezzo aveva fatto la Scuola per Infermieri della Croce Rossa, poi ha proseguito ed è diventata Assistente Sanitaria. Noi eravamo molto unite e parlavamo spesso di ciò che ci appassionava. Lavorava a Limbiate, nel manicomio di zona: da quella realtà sono partite tante cose veramente innovative. Io e mia sorella eravamo l’integrazione socio-sanitaria senza saperlo. Una lettura delle cose che si completava, si arricchiva. A volte invece si ergono muri, sempre più alti. Non ci si arricchisce a vicenda. Ci si difende, non ci si incontra!
Si dice che dietro ad ogni scemo c’è un villaggio. In genere il villaggio ha bisogno dello scemo per scaricare su di lui le sue frustrazioni, per avere un capro espiatorio. Se ci si fermasse ad ascoltarlo invece, forse si scoprirebbe che anche lo scemo ha delle cose da dire!
Si dice anche che la cura è della donna. Io direi meglio che appartiene agli esseri umani: crescono attraverso relazioni che curano e fanno crescere chi viene curato.
Spesso è un lavoro invisibile e finissimo, come il rammendo invisibile del tempo in cui viveva mia nonna. Invisibile e prezioso, che restituisce il tessuto, con il suo ordito e la sua trama. Forse per questo si pensa sia femminile. La famosa rete! Una meraviglia!
Oggi rifaresti quella scelta?
Certamente, non si sente!?!?
Per concludere e forse sperare e sorridere un po’ abbiamo chiesto a Luisa di poter pubblicare le mail che ci siamo scambiati con lei per il testo che ha scritto:
Ciao Bruno e grazie!
Ti allego le 2 righe e, per sdrammatizzare un po’, ti dico che all’inizio della mia carriera lavoravo in un centro con ragazzi disabili. C’era un ragazzino che mi adorava e che, quando arrivavo, mi veniva incontro felice, chiamandomi “Insistente, insistente”!
Buona lettura! Luisa
adoro quel “Insistente, insistente”! per chiamarti…
ahahahahaha
Siamo così noi A.S.: prima abbiamo la puzza sotto il naso; poi quando incontriamo qualcuno che ci fa ridere, ce ne innamoriamo! Prima ci facciamo il culo ad elaborare i protocolli, poi incontriamo qualcuno che non ci rientra nel protocollo, ci scappa da ridere perché avevamo faticato tanto per il protocollo sognando di aver risolto, e ci innamoriamo di chi è rimasto fuori. E lì si ricomincia! Ma vuoi mettere la meraviglia! Le opportunità! Visto che ci tocca morire, almeno si muore dal ride-re!!!
Così si ricomincia da zero! Fantastico!