Le parole sono ambigue, prese singolarmente non sono in grado di definire completamente l’oggetto che indicano. Le parole rimandano necessariamente ad altre parole, discrete seppur infinite nelle loro combinazioni. E così facciamo un salto nel linguaggio, ne siamo costituiti, formati, a volte parlati. Aristotele disse che “l’animale che ha linguaggio” è “animale politico”.
Estremamente necessario in questo passaggio d’epoca è costruire un orizzonte del possibile. Cercare le parole. Prendere parola presuppone, soprattutto per il soggetto tacito, risignificare la grammatica della prassi sociale. Si parte dal sociale, dalla relazione, per arrivare al singolo. Il linguaggio ci precede e come dice Hannah Arendt: “la lingua materna è pubblica e condivisa, precede l’individuo.”
“L’anima politica del lavoro sociale per una costituente delle parole” incontro che si è svolto a Torino il 16,17,18 dicembre, promosso dalla rivista “Animazione Sociale”, ci ha coinvolti in questa discussione sulle parole e sulla prassi sociale che sostanziandole diviene immediatamente politica.
Don Luigi Ciotti fondatore del gruppo Abele ci introduce nel discorso affermando: “non c’è libertà senza giustizia sociale”. E noi operatori e operatrici sociali lo sappiamo bene di cosa sta parlando. Parole che rimandano all’art. 3 della nostra costituzione “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza […] impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Res pubblica “cosa pubblica”, questione politica.
Quindi, riappropriarsi del comune, ridiscutere insieme le parole. Comporre sintassi serve a disegnare un ordine discorsivo che ci permette di produrre pratiche democratiche in grado di contrastare il modello neoliberale che negli ultimi venti anni ha eroso il sistema di Welfare, creato disuguaglianze (la povertà assoluta in Italia riguarda 5.6 milioni di individui nel 2020), ridotto i servizi di cura, svuotato l’istruzione, e privatizzato una buona parte del sistema sanitario pubblico. Noi operatori sociali è qui che lavoriamo. È in questo contesto qualificato spesso dalla mancanza di cura, di sostegno e di attenzione istituzionale verso una vulnerabilità sempre più diffusa. E non è un accidente ma una struttura sociale. Nessuna lamentela, ci dicono gli oratori che si susseguono al convegno. E allora ricominciando dalle parole a Torino si riflette sul la possibilità del conflitto, su come genere, razza e classe sono parole chiave per leggere il contesto sociale. E ancora, Welfare: sì ma universalistico. Uguaglianza: non omogenea e inclusiva delle differenze. Povertà: non intesa come governance dei poveri ma come prodotto di un processo, di un’ingiustizia.
E le parole di Don Ciotti tornano al primo numero della rivista Animazione Sociale, che risale al 1971, in cui si diceva “L’immaginazione al potere”. Rincara ora Ciotti: “sì al potere, ma anche per strada”.
Noi, operatori e operatrici sociali che la strada la conosciamo, forse non tutti, ma qui apriremo un altro tema, siamo il soggetto potenzialmente capace di generare immaginazione e bellezza, lotta, legame, dignità, uguaglianza, dono, differenza, affetti: insomma una società della cura e del comune. E tutto questo non sarà certamente un pranzo di gala.
Liberamente tratto dalla partecipazione a “L’anima politica del lavoro sociale per una costituente delle parole”
Michele