Le strade sono le polverose metropoli degli anni Settanta con braghe a campana e scucite nel continuo strascicamento sull’asfalto, la comunicazione planetarie è nella fantasiosa esperienza del “baracchino” in macchina, mezzo di collegamento tra tutti i viaggianti.
Il mito è nel credere che la percezione può scovare mondi inesplorati nei sogni alterati da sostanze, argonauti alla ricerca di terre dove patriarcato e religione non siano presenti con i loro simboli di repressione, dove per un attimo il senso di colpa si estingue per lasciare il puro desiderare la donna d’altri.
Quindi via con le danze sull’ottovolante con l’iniezione che spara in alto come un proiettile, oppure quella che ti spara dritta nell’ovatta inconsistente dell’incoscienza, così in notti folli senza pensare che ci potesse essere un rischio, ma anzi spinti dal coraggio dell’investigatore dell’inconscio collettivo.
La notte è una compagna fedele nelle lunghe marce chiusi in abitacoli intrisi di fumo, un solco per non cadere in ciò che ci aspetta nell’ora del giorno egemonia dei padri e di quel che resta di una consuetudine contadina mimetizzata nel cemento metropolitano.
Un episodio della follia acida è parcheggiati nella notte in un porto rivolti verso la massa oleosa del mare attaccati al baracchino proclamando inni alla libertà con la guardia portuale che cerca di rispondere con pazienza e senso comune.
Così nel giro di pochi anni si è sgretolato quella possibilità di coincidere con il sogno, sbattendo lungo la traiettoria del quotidiano e della ripetizione delle consuetudini, per rientrare nelle piccole cose di sempre coincidenti alle narrazioni di chi ci ha preceduto.
La comunità luogo totalizzante in cui vi è presente ogni sfumatura umana portata all’eccesso, “i ciocchi”, (richiami forti con intento di farti sentire una merda), “punizioni nel fare i piatti”, “il pensierino” (tema del mattino trattato in gruppo), “le dieci sigarette al giorno”; un linguaggio con conseguenti comportamenti che non ha equivalenti in altre realtà se non la comunità.
Luoghi particolari in cui di certo la propria narrazione personale si interrompe a volte brutalmente, per dover lasciare spazio all’altro altrettanto brutalmente ma questo è ciò che permette alle persone di interrompere spirali mortifiche, ad oggi la ricerca non ha detto molto di più di ciò che già era presente agli albori fatto in modo improvvisato utilizzando il carisma.
Per i figli degli anni settanta il carisma è stata la salvezza in quanto generazione orfana di padri, avendoli combattuti con accanimento fino all’utilizzo delle armi.
Nel momento della resa trovare sul proprio cammino un padre burbero ma amorevole ha innescato la chimica dell’alleanza incondizionata dove lasciarsi andare al cambiamento per costruire nuove narrazioni, infatti le foto di quegli anni ritirare l’immagine quasi uguale in tutte le Comunità Italiane di ragazzi intenti a lavorare con l’immancabile betoniera al fianco (una vera e propria bergamizzazione) di una generazione di giovani.
Le parole sono tramontate e l’Occidente con la tecnica si presta a dominare il mondo, in questa volontà di potenza ci può essere ancora lo spazio per l’incontro amorevole?
Gli umani oggi hanno molti più strumenti di cura ma l’incontro compassionevole ha ancora la propria legittimazione? Gli umani sono ancora umani?
Maurizio Mattioni