Mi vien da pensare, senza costruire un’idea. Un esercizio astratto e denso di materia. Un vortice dietro il fumo di una sigaretta. Una brace accesa nella notte in giardino.
I cani abbaiano al vuoto che scorre in salita. Quanta densità nel vuoto, nel niente.
L’infinito che si fonda nel limite, l’eterno che si libera nell’effimero. Così carico di significato.
Una lotta con la tosse. E la determinazione d’acciaio: questa è l’ultima sigaretta! Ah, quanto è buona l’ultima sigaretta. Quanto sono arricchenti le ultime sigarette che da anni si ripetono.
E le visioni, gli abbracci d’amore col nulla che accarezza. E incide la schiena con unghie affilate. E il sangue che scrive tra le scapole. Parole, disegni tratteggiati. Schizzi d’aborti che si rinnovano quotidianamente, come un pane caldo, fumante, fluente.
E un urlo, assalto all’arma bianca. Ormai contaminata dai sentimenti. Dagli abusati amori.
Stornelli romani, in quella trattoria odorosa di polvere di anni trascorsi. Riemergenti nostalgici nella serenità del canto popolare. Improvviso come il ricordo dell’inquietudine. Che continua senza sorpresa a sostituire l’anima.
Un soffio vitale che non smette di proteggere dalla banalità. Che dona il fianco molle come il marmo levigato al guano dei piccioni. Le cattedrali si sfaldano. Rimangono capitelli votivi.
Semplici come il nostro impegno, in ogni tempo ardente. Come il tizzone nel caminetto di casa. Sempre pronto a guizzare in mutamento di fiamma. Caldo come quest’attesa che pesa. Ma che si scioglie nell’abbraccio di ciò che è e di ciò che sarà. Sarà ciò che siamo ora.
Marco