Sono donatori di sangue, vivono in mezzo a noi ‘ma non sono come noi’: sono quelli che indossano le mascherine, rispettano il metro di distanza e hanno paura, sono anche quelli che sottovalutano e pensano ‘tanto a me non può prendere’ e magari escono per farsi una passeggiata.
Sono un pezzo importante dei lavoratori di questo paese e fanno parte di quelli tra i più ricattati. Chi di loro è occupato sta continuando a lavorare perché il ricatto ‘salute o lavoro’ lo pagano sempre i più poveri.
Sono i richiedenti asilo di questa nostra grande e assurda nazione: alcuni di loro stanno aspettando da molti mesi, da anni una risposta sul famoso ‘documento’: il permesso di soggiorno di ‘lunga durata’ che gli permetta semplicemente di possedere le condizioni formali per poter esistere, soggiornare ed eventualmente integrarsi in Europa.
Stanno soffrendo con ‘noi’, siamo il ‘noi’ che sta affrontando questa emergenza sanitaria e molti di loro sono fermi nei centri, chiusi nelle loro stanze o al massimo lanciano un calcio al pallone nelle aree comuni. Il loro morale è a zero. Qualcuno non dorme, molti telefonano a parenti e amici in Africa i quali sono doppiamente spaventati: per la situazione in Italia e per quando il virus raggiungerà l’Africa.
Alcuni tirano fuori teorie del complotto: un ragazzo gambiano dà man forte al solenne discorso di un nigeriano che spiega come sia tutta una montatura “come quando i bianchi portarono l’hiv in Africa”. Altri giovani e spavaldi fingono di non avere paura e ostentano atteggiamenti non curanti mentre in realtà hanno più timore dei loro amici e non capiscono bene cosa stia succedendo.
B. D. ha rischiato il licenziamento: ‘non posso andare a lavorare di notte, nel Lazio i mezzi si fermano alle 21.00’, il datore gli chiede se ‘cortesemente, può firmare una lettera di dimissioni’ – in playback subentro io che gli faccio ‘no no no! con la testa solidale al movimento dell’indice’. Se infatti B.D. firma la lettera non avrà diritto alla disoccupazione, non potrà rivalersi sul licenziamento ingiusto, non saprà come pagare il prossimo affitto esoso come spesso accade qui a Roma. Alla fine B.D. ha accettato il ricatto del datore, ma il datore ha ceduto qualcosa, B.D. non farà più cinque notti ma tre a settimana e farà i salti mortali per raggiungere Ostia con i mezzi prima che chiudano ma almeno è riuscito a tenersi il lavoro.
K. M., alla mattina, mi guarda dall’uscio della porta della stanza 11 non sa bene come comunicare la cosa e così formula la goffa domanda: “Il mio sangue va bene? Cioè funziona?”. Io e M.M. restiamo inebetiti. “Sì insomma voglio donare, vorrei fare qualcosa per l’Italia non riesco a stare in camera senza far niente, guardo tutti i giorni i video”. Commossi gli spieghiamo che il suo sangue, checché ne pensi qualcuno, va bene, anzi è preziosissimo.
Chiamo l’Avis, poco fuori dal centro migranti si sente l’inno d’Italia, a me non piace a qualcuno di loro sì. Anche chi, tra questi, apprezza l’inno avrà bisogno, realisticamente, di almeno dieci anni per poter dirsi italiano e poter votare nel paese dove vive… è necessaria una ‘sanatoria’, un permesso di soggiorno per tutti quei richiedenti asilo in attesa, la cui mente è più in confusione che mai e che stanno vivendo la tragedia collettiva nella forma del trauma. I traumi collettivi hanno la strana capacità di unire il popolo, di farti sentire parte di una comunità per la prima volta, di sentirti utile. I fenomeni collettivi danno nuovi significati ai singoli e cambia per tutti la maniera di vedere il mondo.
Non si sono mai sentiti italiani come adesso, proprio come noi che ci scopriamo un ‘popolo’ oggi, per di più, a ben guardare, un popolo di odiatori in via di pentimento…
Mi disinfetto i guanti con un detersivo a base di amuchina, la collega sbalordita ride e io penso divertito: ‘chissà come sta ‘famiglia nuova’?
Agli amici e alle amiche di Famiglia Nuova
Michele Ramadori