Cari tutti, siamo al termine di un altro anno di lavoro, sfide, speranze fatiche successi ed inciampi.
Stiamo vivendo tempi in cui le persone si allontanano sempre più, i legami si affievoliscono quando non si azzerano. La qualità delle relazioni umane si sfoga spesso in linguaggi che rendono fertili i processi di esclusione. L’uso delle parole non è neutro, anzi, le parole si depositano e generano sempre qualcosa.
Anche noi, nel nostro lavoro quotidiano facciamo a volte fatica a riconoscerci, a cogliere i segni a creare occasioni di confronto e riconoscimento comune dei problemi.
Il welfare sembra ormai diventato un lusso che solo i ricchi si possono permettere. E, una società senza welfare, è una società senza giustizia.
Da tempo rifletto sul valore e la forza della comunità, intesa come insieme di persone unite tra loro da legami di solidarietà e di coesione sociale improntati alla giustizia e ai diritti di cittadinanza anziché a vincoli di bilancio e sostenibilità economica.
Allora mi interrogo su come non favorire atteggiamenti adattivi che ci portano a chiuderci in piccoli gruppi di simili costruendo nicchie e lasciando andare le cose come vanno.
Penso che sia arrivato il tempo dell’impazienza, della ribellione a criteri di competitività anziché favorire la diversità e la ricchezza di sguardi, ad opporci a professioni sempre più chiuse in una relazione tra operatore ed utente senza mai alzare lo sguardo sulla storia . Credo sia arrivato il tempo di interrogarsi su che società stiamo diventando, di capire se come servizi sociali, sanitari, educativi, scolastici e noi operatori che ci lavoriamo possiamo rilanciare l’idea di una società più giusta.
Mi chiedo se saremo capaci di costruire situazioni di confronto e riconoscimento comune di problemi valorizzando la capacità delle persone, di tutte le persone, di darsi da fare sconfiggendo la solitudine in cui spesso si svolge il lavoro sociale. Ecco penso che costruire comunità sia un valido antidoto alla separatezza, all’isolamento e guardo con speranza e con fiducia alla costruzione di reti sociali che si attivano spontaneamente assumendo forme ancora magmatiche tutte tendenti alla costruzione o rigenerazione di legami. Ecco forse agganciare questi fermenti di partecipazione civica potrebbe rappresentare una svolta, un nuovo modo di intendere il lavoro sociale.
Perseguire un obiettivo di corresponsabilità, di progettualità aperta, di costruzione di uno spazio che accoglie e incontra la creatività di soggetti diversi che operano spesso al di fuori o al di là di risposte codificate o standardizzate, richiede un’istituzionalizzazione leggera, aperta alle differenze capace di valorizzare le specificità con una cessione reciproca di potere rispetto ai saperi alle competenze alle abilità alle conoscenze di ciascuno. Sembra tutto bello e facile ma richiede uno sforzo di ricollocamento tutt’altro che scevro di criticità, di fatiche, di tensioni.
Noi siamo qui, in questo momento in questi luoghi e ci impegniamo ogni giorno nella costruzione di legami. Sono sicura che sapremo uscire, mediare, rinunciare pretendere offrire esperienze e sguardi unici nei territori dove lavoriamo e continueremo a battere ogni strada che possa favorire per ciascun uomo il raggiungimento della propria felicità.
Vi lascio alla lettura ed alle riflessioni che il gruppo di Responsabili ed Operatori che ha lavorato al bilancio sociale di questo anno ha messo a disposizione di tutti coloro che vorranno conoscerci meglio.
Ringrazio loro per la passione ed impegno che hanno messo a disposizione della nostra Organizzazione e ringrazio tutti voi che continuate ad offrirci stimoli ed incoraggiamenti che ci aiutano a proseguire sulla strada intrapresa.
Buona lettura a tutti e di nuovo grazie!
Mariarosa Devecchi
Bilancio Sociale 2018 di Famiglia Nuova