Un progetto di educativa di strada che inizia su un Comune, un educatore che non ha mai lavorato su quel territorio, un gruppetto di ragazzi non noti…
La nostra equipe potrebbe spendere parole, pagine intere sugli aneddoti: quel gruppo che non appena vede arrivare la macchina dell’educatore si dilegua, tempo di parcheggiare e della sua presenza rimangono quattro cicche di sigarette e il barattolo vuoto e schiacciato dell’Estathè, il gruppetto che invece “resiste” e semplicemente si limita ad ignorare l’educatore senza rispondere nemmeno al saluto, i ragazzi che accolgono l’adulto con una sonora bestemmia sottolineando fermamente quanto siano scocciati dalla sua presenza, quelli che invece, forti della superiorità numerica, colgono l’occasione per provocarlo facendosi passare tra la mani una sigaretta che ha tutta l’aria di essere una canna.
È il momento più delicato: il sottile equilibrio tra l’esserci, e inevitabilmente con la propria presenza innescare un cambiamento, e l’essere meno invadente possibile, lasciando ai ragazzi il tempo per familiarizzare con la nuova figura, nel proprio territorio, con le proprie abitudini, con il proprio stile comunicativo.
È un processo lento, in cui i tempi molto spesso sono decisi dai ragazzi stessi, dalla curiosità che hanno nel vedere un adulto che si avvicina, che si pone in modo diverso, che è incuriosito da quello che raccontano, che con un atteggiamento non giudicante ma comunque fermo li accompagna in discussioni o nel problematizzare e tematizzare alcuni contenuti.
È il momento in cui l’educatore esce allo scoperto, in un luogo che è altro, in cui non c’è istituzionalizzazione, in cui non c’è un “setting”, in cui la cornice è la relazione stessa, l’ascolto ed il riconoscimento reciproco. È il momento dell’osservazione reciproca, al cui interno si iniziano a costruire insieme delle regole di interazione.
L’educatore si palesa nel suo ruolo, di adulto che pur essendo nel gruppo non ne è parte, e che proprio per questo può portare delle novità.
Vengono spesso sviscerate dai ragazzi una serie di domande, di dubbi “sei uno sbirro? Allora sei del Comune! Sei dei Servizi Sociali, ti mandano “quelli”? Sei qui per controllarci”, nel tentativo di assimilare la figura dell’educatore di strada a categorie già note: la chiarezza nel rispondere a tali quesiti, seppur palesando realtà che sono molto lontane agli adolescenti, è sempre la carta vincente, che abbassa le difese e rende l’adulto meno minaccioso per i ragazzi.
Sono i primi passi, insieme. Di quella relazione che sta ponendo le basi affinché possa essere educativa.