Terminal di Lodi, è l’uscita da scuola. Attesa. Sono qui apposta per lui, perché altrimenti non potrei incontrarlo. Il telefono non ce l’ha più, da quando glielo hanno sequestrato in Questura. È un tempo d’attesa, il mio, ma è già azione.
Il progetto è molto semplice, in realtà: proporgli, sabato mattina, di fare un paio d’ore assieme, come volontari per la raccolta solidale alimentare a favore di chi ha bisogno.
L’idea è quella che lui mostri, a se stesso e anche agli altri, le sue doti positive, quelle che io e i miei colleghi conosciamo, ma che spesso qualcun altro non riesce a cogliere dietro la spavalderia, l’atteggiamento, qualche errore di troppo commesso…
Nell’attesa qualcuno passa, mi scambia un saluto rapido, una stretta di mano. Qualcun altro si ferma, mi porta parti di sé, riallaccia discorsi lasciati interrotti tempo fa. Quanta vita che c’è qui.
Dopo un po’ arriva; gli faccio l’invito. La speranza è che possa accettare; una speranza fondata sulla conoscenza che noi abbiamo del suo lato migliore. Nessuna certezza, solo un investimento, e, per usare le parole di una canzone, “lo sguardo dritto aperto nel futuro”.
Ecco quello che facciamo.