Questo libro nasce dall’impegno di Jean-Baptiste Sourou a favore di un dialogo culturale positivo fra l’Europa e l’Africa. Analizza in modo chiarissimo le radici del problema africano risalendo alla tratta quadrisecolare degli schiavi, il colonialismo e il post-colonialismo e mette in luce i tentativi dei popoli africani di uscire della loro attuale situazione.
Prima di tutto che cosa è l’Africa? È un immenso continente di 54 stati dove si parlano 2.000 idiomi ma in molti di questi paesi la lingua degli ex-colonizzatori viene usata come lingua ufficiale. Il nord è occupato da popolazioni arabe per lo più musulmane, mentre l’Africa sub sahariana consta di 3000 etnie diverse. La Religione Tradizionale Africana (RTA) si basa sull’Armonia col creato, il rispetto di ogni creatura e una forte relazione con gli antenati, intermediari fra gli esseri viventi e l’Essere supremo. Molti africani sono musulmani o cristiani. L’Africa ricopre 4 zone climatiche diverse: mediterranea, tropicale, equatoriale e desertica.
Non è un continente povero, ha molte risorse. Il suo sottosuolo è ricchissimo: petrolio, gas, minerali preziosi come oro, diamanti, ma anche bauxite, ferro, argento, nickel, platino e il tanto ambito coltan. In agricoltura produce caffè, tè, cacao, olio di palma, caucciù, mais e grano.
I germi dell’emigrazione si trovano nella sua storia passata. La tratta transatlantica degli schiavi durerà per quasi quattro secoli, dal XVI° al XIX° secolo. Si stima a circa 15 milioni le persone sottratte all’Africa, giovani uomini e donne in età fertile che avrebbero dovuto contribuire invece allo sviluppo economico, politico e culturale dei loro paesi. Mentre il commercio delle esportazioni di schiavi africani è alla base di una rivoluzione industriale in Europa che non si sarebbe potuto verificare senza la fenomenale espansione della produzione e degli scambi di merci nella regione atlantica, la diminuzione radicale della popolazione africana dovuta alla tratta ha diminuito anche la sua capacità di produzione, d’innovazione e, quando la tratta viene abolita (metà dell’800) e i paesi europei intraprendono la via della colonizzazione, la debolezza dell’Africa ha reso difficile la sua entrata nel sistema economico che si stava mettendo a posto a livello internazionale, rendendo i paesi africani pronti alla dipendenza economica.
Il colonialismo non ha dato all’Africa il tempo di rialzarsi e ha minato le basi della civiltà africana, della sua cultura, del suo artigianato, della sua agricoltura. Le infrastrutture costruite, il sistema educativo e sanitario imposti sono stati creati per favorire gli interessi dei colonizzatori, con il pretesto di una missione civilizzatrice che era di fatto puramente economica: procurarsi materie prime e trasformare il continente in un mercato di consumatori per prodotti europei. Non è stata sviluppata l’educazione universitaria che avrebbe potuto portare ad un pericoloso risveglio della consapevolezza.
Il colonialismo ha comunque avuto vita abbastanza breve. Verso la metà degli anni ‘60 la maggior parte dei paesi hanno già conquistato la loro indipendenza. L’Africa ricerca allora un’identità socio-politica ed economica propria: 1960-1990. Nasce la Commissione economica per l’Africa dell’ONU (CEA) nel 1958 seguita dall’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) sottoscritta da 32 stati nel 1963, a vocazione altamente politica. Ma la dipendenza economica dall’estero è un handicap non indifferente che intralcia questa ricerca e questo situazione ambigua porta al doloroso periodo dei colpi di stato militari e dei partiti unici. Il fatto che in molti casi i golpisti fossero soldati formati dalle truppe coloniali lascia a chiedersi chi erano i veri mandanti di quegli eventi sanguinosi. In molti casi, dopo le buone intenzioni iniziali, s’installarono regimi di terrore contro dissidenti, cittadini, stampa. Corruzione, culto della personalità, impunità dei dirigenti erano all’ordine del giorno. Verso la fine degli anni ‘80 si è toccato il fondo: regressione economica e agricola, esilio dell’elite intellettuale, disprezzo dei diritti umani più elementari.
Paradossalmente, “Le popolazioni africane che vivono e dormono sopra i ricchi giacimenti di minerali o di petrolio sono anche quelle più vulnerabili e le più esposte alla povertà, alla miseria, ad ogni genere di schiavitù e quindi all’emigrazione forzata se vogliono salvarsi la pelle e trovare un po’ di pace.” Lo sfruttamento ad opera delle multinazionali occidentali, basato su contratti ottenuti grazie alla corruzione a vari livelli, è criminale: disprezzo dei diritti umani più elementari, distruzione dell’ambiente, scempio delle terre coltivabili, spreco delle stesse risorse estratte. Per esempio nel delta del Niger, chilometri di oleodotti mal gestiti presentano massicce fuoriuscite di petrolio che inquinano le sorgenti d’acqua causando la morte di migliaia di animali e rendendo le terre agricole inutilizzabili. La pratica del gas flaring che consiste nel bruciare senza recupero energetico il gas naturale in eccesso estratto insieme al petrolio genera fiamme che rimangono accese 24 ore su 24 ed emettono scorie tossiche. Si è creato l’inferno e le popolazioni sono costrette a spostarsi. In realtà se il gas venisse utilizzato per la produzione di energia potrebbe bastare per rifornire l’intera popolazione del continente africano sotto il Sahara. Oltretutto essendoci poche raffinerie in Africa, la maggior parte del greggio viene raffinato in Europa e all’Africa viene rivenduto quello di peggior qualità. L’Africa che potrebbe coprire da sola il suo fabbisogno di combustibile ne deve importare il 50% e si deve accontentare di un gasolio talmente tossico che la sua vendita in Europa ne sarebbe vietata.
Scenari simili si trovano nel Repubblica del Congo per l’estrazione delle ricchezze minerarie, fra cui il coltan, in Repubblica Centrafricana, in Sudan, in Sierra Leone, in Liberia. Stati deboli o quasi assenti in alcune zone lasciano il campo libero a predatori che si contendono la gestione delle risorse. Crisi politiche, violenza, carenze di servizi e strutture sanitarie si susseguono e costringono una buona parte delle popolazioni a sfollare.
A questo disastro si aggiungono i fenomeni del land grabbing (sistema di accaparramento delle terre senza il consenso delle popolazioni che ci abitano) e dell’ocean grabbing. In 10 anni è stato così sottratto alle popolazioni terra coltivabile per un’estensione pari all’intera superficie della Francia e da lì si esporta cibo prodotto in paesi dove si muore di fame. Oltretutto quelle terre sono destinate maggiormente a monocolture OGM o alla produzione di agro carburanti totalmente esportati. L’accaparramento dei fondi marini è una minaccia seria per i posti di lavoro e per la sicurezza alimentare dei paesi in via di sviluppo ed è stato reso possibile grazie ad una rete estesa di corruzione nella concessione di contratti nazionali che riserva le licenze a pochi a scapito dei piccoli pescatori locali. Per questo tanti giovani pescatori sono costretti ad abbandonare il Senegal.
Con l’esternalizzazione delle frontiere, l’Europa spera di controllare i migranti dando fondi ad alcuni stati africani situati sulle rotte di migrazione per fermarli. Praticamente l’Europa ha spostato le sue frontiere a migliaia di chilometri dal Mediterraneo. In questo modo però è stato calpestato il diritto alla libera circolazione delle persone all’interno dell’Africa e sono stati ostacolati i flussi migratori interni che erano molto importanti. Le stesse forze che dovrebbero bloccare i migranti organizzano traffici di essere umani con le milizie libiche. Il deserto è diventato una zona mortale, molto più pericolosa di prima, specialmente dopo la morte di Gheddafi, evento che ha avuto conseguenze disastrose per il benessere della Libia e la sicurezza sua e degli altri paesi africani limitrofi, rimasti esposti alla morsa dei trafficanti di ogni genere nonché all’avidità delle multinazionali.
In varie occasioni, in vari paesi, i popoli africani hanno fatto sentire la loro voce e fanno capire il loro desiderio di vera democrazia. Si deve sperare che riescano a vincere sul cancro della corruzione. Ma i flussi migratori non si fermeranno finché l’Occidente non accetterà di rendersi conto che sono la conseguenza della sua prepotenza plurisecolare nonché del nostro consumismo sfrenato.
Noelle Jorio
(la nostra insegnante volontaria di italiano di Erranze)
“Rivogliono il loro pesce” di Jean-Baptiste Sourou. Ed. Cedres. Si può comprare il libro seguendo il seguente link: http://www.cedres-ong.org/it/ceedesproject/les-editions-cedres/