Con questa frase imprecisa, ma carica di orgoglio, mia mamma dichiarava alle sue amiche il mio orientamento sessuale.
’annotazione non era necessaria: molto di me si esprime attraverso atteggiamenti e posture, pensieri e parole di matrice femminile; a chi interessava sapere era già evidente. La frase serviva per esprimere il suo consenso, e da un certo momento della mia vita in poi, anche l’orgoglio, di essermi genitrice: fiera di avermi messo al mondo e forte della identità e delle caratteristiche personali che si andavano definendo, ben oltre una esclusiva caratterizzazione degli evidenti indicatori di orientamento sessuale.
Certo non è stato un viaggetto facile: fin dalla seconda infanzia, nei contesti di gioco, scolastici o religiosi ero al centro delle attenzioni malevole: tutti, adulti compresi, rimanevano sotto la soglia minima delle parvenze, delle mossette, delle magliette attillate.
Pochi andavano oltre. Nonostante il mio propormi, al di là del riuscire o meno nell’intento, per la sostanza del mio essere e non solo per uno dei miei aspetti personali, molto intimo tra l’altro. Sono stato a lungo sbeffeggiato, deriso, indicato a vista: la vergogna masticata, il senso di colpa autolesivo e lo stigma introiettato mi hanno reso oggi un uomo più forte. La resilienza che ho saputo alimentare dentro me, e il riconoscimento delle persone care a cui ho molto prestato considerazione, mi hanno reso più forte. Anche troppo.
Il contesto sociale italiano è cambiato molto da allora: molto più fluidi i confini tra le identità e gli orientamenti sessuali e alcuni, ancora monchi, diritti riconosciuti hanno modernizzato il nostro livello culturale medio. Ma con l’estensione di alcuni minimi diritti si è anche esplicitata maggiormente l’intolleranza dei benpensanti e dei moralisti da 4 centesimi di euro. Esistono ancora genitori che non riconoscono l’individualità del proprio figlio o della propria figlia, che rifiutano i percorsi di autodeterminazione verso una visibilità o l’altra, che allontanano gli uomini o le donne che hanno fatto nascere dal focolare domestico. E questo non solo è incomprensibile: è sintomatologico di un conformismo di massa spaventoso, che riconosce solo il simile, che non va oltre i mascheramenti che talvolta, per sopravvivere, siamo costretti ad indossare.
In attesa di non celebrare più la giornata contro l’omofobia, uomofobia secondo la Pierina, partecipiamo ai Pride che vogliamo, dichiariamo senza paura e vergogna chi siamo e quale tipo di amore più ci coinvolge. Imbrattiamo i muri degli enti prepotenti del pubblico e del privato con slogan liberanti e liberatori.
Prima o poi ce l’avremo fatta.
Bruno
[nell’immagine: Ettore Buttazzoni, Giovane nudo in piedi, 1873, particolare.]