Mariarosa Devecchi per “Utopia possibile”, numero speciale – 30 anni, maggio 2012, p. 27.
A Lodi si stava sperimentando un primo modello di accoglienza residenziale per disabili non istituzionalizzato. La Comunità Campo Marte apriva i battenti grazie alla volontà del Comune di Lodi ed al coraggio di don Leandro che, nonostante si fosse scatenato un putiferio tra i residenti del quartiere per l’apertura della comunità, non si lascio intimorire e diede avvio ad un’esperienza che continua ancora oggi ed ha iniziato un processo di inclusione di persone in difficoltà, che, oggi, ci sembra scontato ma allora non lo era affatto. Io, lodigiana da sempre, avevo conosciuto Leandro come prete e professore di religione all’ITIS di Lodi, e, volendo capire se c’erano ragioni per ostacolare un’esperienza che mi sembrava avesse solo contenuti positivi, mi presentai in comunità e mi offrii per qualche piccolo servizio volontario. Passare qualche ora in comunità con gli ospiti e gli “operatori” di allora (molti erano ragazzi che provenivano dalle comunità di recupero), mi aprì lo sguardo su un mondo che era sempre stato lontano da me e del quale non conoscevo nulla.
Non avevo però alcun contatto con la Cooperativa, quello che sapevo dell’Organizzazione era solo frutto dei racconti degli operatori e degli obiettori.
Una mattina di ottobre del 1993 mi chiama don Leandro e mi chiede la disponibilità a dare una mano in amministrazione. Capii, entrando nel Suo Ufficio di Cadilana, che, non solo non sapevo nulla di Famiglia Nuova, ma non ero nemmeno certa di voler lavorare in quella che mi sembrava una “gabbia di matti”.
La mia curiosità mi portò ad accettare l’offerta e mi misi al lavoro, con Grazia e Maria, per cercare di capire e di riordinare un po’ l’aspetto amministrativo.
Andavano e venivano dalla segreteria persone diverse che mi sembravano marziani e mi sono sentita per un bel po’ un pesce fuor d’acqua. Poi un giorno venne in segreteria Egisto. Di lui avevo solo sentito parlare come una persona “originale”. lo invece tirai un sospiro di sollievo perché finalmente qualcuno parlava un linguaggio che anch’io capivo e, con il suo modo un po’ dissacrante e ironico, mi aiutò tantissimo a ridimensionare il mio schema mentale fatto di regole ferree, di comportamenti “adeguati” di quello che oggi si definisce “perbenismo”.
Questo è stato per me un grandissimo regalo. Il mio sguardo sulle persone, compresa me, si allargò, si è fatto più indulgente e meno giudicante.
Siamo tutti in cammino e tutti, prima o poi abbiamo bisogno di qualcuno che ci accolga e che faccia un pezzo di strada con noi. lo questo l’ho trovato quando ne ho avuto bisogno e spero di averlo anche un po’ restituito.