Marco Sartorelli per “Utopia possibile”, numero speciale – 30 anni, maggio 2012, p. 31.
Ero in carcere. Ergastolo. Don Leandro mi venne a trovare e mi portò un culatello. Stavo facendo lo sciopero della fame. Quando glielo dissi mi guardò e mi chiese: “Perché?”. Ed io “È una lotta!”. Non una parola di dissuasione, e quante avevo dovute sopportare, bensì uno sguardo lucido partecipazione.
Pensò anche, al culatello: “Non lo porto indietro”. Io: “Lo darò agli altri”. “Ben fatto” disse quel prete strano. Non ho mai amato i preti, amo don Leandro.
Bah!?
Mi venne a trovare ancora. Gli avevo scritto per ragioni di studio: dovevo presentare la tesi di laurea su una comunità per tossicodipendenti. Avevo scritto a tante comunità, alcune mi avevano risposto; la sua filosofia mi era piaciuta, per me si distingueva. Per la mia tesi avrei scelto don Leandro, Famiglia Nuova.
Ero evaso più volte, lo ritenevo un mio dovere-diritto, anche se sparavo e uccidevo, rapinavo banche, treni ed assaltavo carceri come immaginari Palazzi d’Inverno. In nome della ribellione, non della rivoluzione di quegli anni. No, la ribellione! Quella spontaneistica, quella antagonista ai rivoluzionari, ai reazionari, agli affermatori dello status quo! Insomma “Non sopporto che…” lo esclamavo a modo mio.
Don Leandro mi ascoltava e mi disse, una volta, una sola volta: “Perché devi esclamare, non puoi porre degli interrogativi e cercare di rispondergli? Scusami, sei in una situazione non facile. Cercherò di aiutarti ad uscire, di darti un lavoro in comunità. Puoi dare”. Pensavo: “Ma quanto è strano, fa discorsi da prete, ma, comunque, per la prima volta mi pare di incontrare una persona che giudica e non assolve. Invece degli esclamativi si pone degli interrogativi; e mi dà una risposta”.
Bah?!
Mi ha tirato fuori. Sì, mi ha tirato fuori. Abituato a tirarmi fuori da solo, a suon di evasioni, mi sono ritrovato fuori dalla galera grazie a lui.
Il primo giorno che sono uscito i miei compagni, gli amici, i parenti dicevano: “Ce l’ha fatta un’altra volta, ricomincia la solita Storia!”.
Esco di galera. Mi aspetto di trovare don Leandro. Non per carità di Cristo, ma per illusoria capacità di controllo della situazione. Invece non c’è. Lo troverò ad aspettarmi trenta chilometri dopo il cancello del carcere; ed in trenta chilometri quanta strada avrei potuto fare…
Gli sguardi si intesero: “Ho voluto rispettare questo momento, era il tuo momento”. Ma che bella fregatura mi hai dato, don Leandro. Ho sempre cercato di fuggire dal carcere ed ora mi tocca suonare il campanello per rientrare. E tutti, allora, mi chiesero, guardie comprese: “Sei tornato?”.
Eh, quanto gli interrogativi sono più incisivi degli esclamativi.
Ed io: “Colpa di un prete”.
Sono passati quindici anni, o più, poco importa; e sono ancora a lavorare in comunità. Da un po’ sono anche passato di grado. Tu, don Leandro, dal tuo Paradiso, immagino, te la ridi io ti ringrazio. Qualcuno dice che do qualcosa.
Bah?
So che, per me, sei stato un Profeta. Come hai potuto vedere in me qualcuno di positivo non lo so: comunque hai visto giusto! E qui un esclamativo ci vuole, perdonami, don Leandro, ma le rivoluzioni vanno celebrate con ‘sto punto esclamativo.
E tu mi ha rivoluzionato, grazie.