Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 6, 15 marzo 1998, p. 37.
Il problema è tornato alla ribalta recentemente, per il caso Di Bella e la sperimentazione della sua cura contro il cancro, ma è sempre stato presente nel campo filosofico ed etico, e si può porre anche in termini più ampi, come: la persona e lo stato, l’uomo e l’istituzione, la libertà dell’individuo e l’autorità dello stato. Qui non ci spingeremo sul terreno filosofico. Diremo solo che la nostra prospettiva non è quella dell’individualismo estremo, né quella dello statalismo collettivista ed autoritario, ma il personalismo cristiano. Al centro c’è la persona, i suoi diritti e doveri; lo Stato c’è per servire la persona, non per asservirla. Esso deve consentire che si raggiunga il bene comune, cioè che l’interesse di un individuo non leda quello dell’altro. Ad esempio – appunto – deve tutelare sia il diritto del medico a curare, che la sicurezza sociale, per cui il paziente ha diritto di non rischiare più del necessario.
I temi sono quelli apparsi sui giornali in questi giorni: diritto alla salute, libertà di cura, libertà di terapia, gratuità delle cure, diritto alla sperimentazione, chi deve offrire sicurezza, ecc.
Anzitutto c’è il diritto della persona alla salute. La sanità deve garantire a tutti benessere fisico e psichico. Si tratta di un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione. C’è libertà di cura, ma ci sono anche le vaccinazioni obbligatorie (quando esiste il vaccino e la malattia è contagiosa). Allora l’obbligo di solidarietà con gli altri prevale sul diritto individuale alla scelta terapeutica. Si pensi alle epidemie, poniamo alla peste. Lo stato deve intervenire drasticamente per contenere il danno e tutelare chi non è ancora infetto, superando anche il sacrosanto principio del rispetto della privacy, se necessario. Ma veniamo al nostro aspetto della questione.
Il malato può pretendere la somatostatina, può esigerla gratis? Lo Stato può dire di no?Il medico ha sempre ragione? Il paziente deve essere bene informato? Queste sono alcune delle domande sul tappeto.
Le parti in causa sono tre: il medico, il paziente e lo Stato attraverso i suoi organi competenti per la serietà scientifica, per la sicurezza sociale e per la salvaguardia dell’igiene e della cura. A volte potrà anche dire: tu paziente puoi curarti, ma non necessariamente a mie spese, perché debbo rispettare canoni di equità. Non puoi chiedermi di mangiare ostriche e di bere sempre Champagne per curare la tua depressione (è la frase classica di questi giorni). Secondo il nostro ordinamento attuale, per la correttezza della sperimentazione, si esigono solo tre cose. L’atto terapeutico deve essere posto in essere da un medico, deve essere finalizzato alla cura e deve avere fondamento scientifico, sia pure discusso.
Ma lo Stato deve anche garantire che la libertà dell’uno non travalichi e leda la libertà dell’altro. Ad esempio il medico ha la libertà di cura, ma non su chi non la vuole o non la conosce a sufficienza per poterla scegliere. L’Unità sanitaria (o chi per essa) dovrà garantire il consenso bene informato del paziente. Neppure però ci deve essere il prevaricare del paziente sul medico, che resta libero di partecipare ad una sperimentazione. La legge morale consente al medico di fare obiezione per motivi di coscienza (si pensi al rifiuto di partecipare all’aborto).
La sperimentazione, dunque è scientificamente corretta ed eticamente lecita, solo se al paziente viene spiegata la diagnosi (quale malattia ha); la prognosi (come la malattia evolverà); il trattamento che gli viene proposto, le alternative terapeutiche disponibili, gli effetti collaterali e tossici. Dice Santosuosso, magistrato esperto in materia sanitaria, che prima della volontà del paziente, ci vuole il controllo tecnico-scientifico, a garanzia del paziente stesso e della sua piena e autentica informazione. Allora può nascere anche un certo diritto del paziente a ricevere trattamenti sperimentali terapeutici, dice il giudice.
Ma siamo liberi di provare una cura «nuova», fuori da una sperimentazione corretta solo a nostro rischio e di chi ci aiuta. Medici e strutture non sono obbligati ad assecondarci. Diversamente, invece, quando la sperimentazione è autorizzata e i richiedenti sono poveri, tanto più se il costo è elevato. Da ultimo, la privacy va salvaguardata al massimo, magari con l’anonimato; ma lo stato deve conoscere con certezza chi ha subita la sperimentazione.
[Illustrazione: Christian Krohg, Ragazza malata, 1881, particolare.]