Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 3, 1° febbraio 1998, p. 25.
Il problema droga ritorna di attualità. Il procuratore generale di Cassazione, nella relazione annuale, a sorpresa, avanza una proposta: somministrare in maniera controllata la droga ai giovani che dicono di non poterne fare a meno, come avviene in altri paesi. Per alcuni è solo il primo passo verso là liberalizzazione delle sostanze stupefacenti. No, ribatte il P.G. Galli Fonseca: è solo il tentativo di incanalare i tossicodipendenti verso la legalità, sottraendoli alle narcomafie e drenando la microcriminalità delle nostre metropoli. La repressione è fallita. Ora bisogna tentare vie nuove; anche perché – aggiungiamo noi va trovata una alternativa alla vita miserabile che tanti tossici conducono. Adesso è sempre peggio: per i senza fissa dimora, che diventano figli di nessuno. Ma anche quelli che hanno ancora una residenza anagrafica, che si sentono negare la possibilità di rifugiarsi in comunità per ritentare: « Non ti paghiamo più la retta (dicono i parsimoniosi operatori dei Sert), perché hai già provato. Che dire? Ne abbiamo dette e scritte tante, che non vogliamo ripetere qui. Ora vorremmo provare a metterci nei panni dei politici di retta coscienza e dei loro elettori. Ci pare infatti che il giudizio sia di solito «ideologico», appunto un pre-giudizio. La politica post-moderna, come la si chiama, non deve essere più ideologizzata. Un tempo (ma è poi passato quel tempo ?) c’erano le tre grosse aree di pensiero: liberale, cattolico e socialista (con l’appendice comunista). Per entrare ne merito, c’è la posizione repressiva, c’è quella opposta antiproibizionista; ma noi non ci stanchiamo di dire che tra queste due un poco integriste, con conclusioni prefabbricate, c’è la posizione responsabilizzante, che vuole esaminare obiettivamente i fatti, prima di emettere un giudizio.
Va relativizzato il motivo del contendere: la legge. La legge non dà la speranza di uscirne (ma, proprio per questo, neppure la toglie). La legge non è tutto, ma neppure niente. È uno strumento da usare, che non deve squalificare i metodi buoni già collaudati, ma ne deve ricercare dei nuovi, per quelli che sono ancora a terra boccheggianti. Il problema non divide solo i poli (di governo e di opposizione). Divide anche all’interno ciascuno dei due poli, con rischio per la stabilità governativa. I partiti non devono approfittarne per fare del protagonismo o del disfattismo. E il tempo del rispetto, della tolleranza e del dialogo. I pregiudizi debbono crollare e l’obiettività deve riaffiorare. In primo piano c’è il paziente che soffre e si dibatte senza uscita. Poi viene il bene comune. Non è il momento di dire: «Abbiamo ragione noi!»; bensì di dire: «Ricerchiamo assieme una soluzione difficile. Soppesiamo onestamente il pro e il contro. Obbediamo alla nostra coscienza, prima che al nostro partito. Anche la Chiesa – qui non ci obbliga: ha espresso solo un indirizzo e non un comando. I principi furono studiati per aiutare le persone, non per allontanarle dai valori. Non si possono avere pregiudiziali contro la «riduzione del danno», sia individuali che collettive. In fondo non è che l’eterno principio del «minor male» da tollerare, perché non se ne verifichi uno peggiore o si impedisca un bene migliore (S. Tommaso). Ora semmai si è capito che si potrebbe chiamare più opportunamente non principio del minor male, bensì del «Maggior bene». Comunque, principi tradizionali o nuovi a parte, prioritario è il bene delle persone, che nessun principio prefabbricato può impedire. Ci vuole perciò non lo scontro, ma un confronto leale, disinteressato.
Anche i politici devono capire che il pubblico e cresciuto; l’intolleranza non paga più. La gente premierà con i voti non i tromboni (di solito sbraita di più chi ha meno ragioni da portare), ma chi sa ragionare. Non ci sono salvatori della patria, ma umili collaboratori al bene comune.
La somministrazione non vale per tutti, ma solo per chi ha rotto ogni rapporto con i servizi (pubblici e privati) e prende sostanze pesanti.
Dice don Ciotti: « può essere fatta solo in modo serio». E quindi con un programma preciso, concordato con l’utente, sulla base di un programma personalizzato (c’è una ricetta per ogni malato: non sono interscambiabili). La sperimentazione può essere fatta in aiuto alle persone (non per togliersi una seccatura); e non può essere osteggiata in nome di principi ideologici, perché anche qui prioritaria è la persona. Non facciamo più una guerra di religione tra il proibizionismo e l’anti. Rinverdiamo la speranza di riuscire, passando magari attraverso la riduzione del danno, che è solo una tappa.
[Immagine: Paul Gauguin, Autoritratto, 1885, particolare.]