Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 1, 1° gennaio 1998, p. 30.
Sai, in occasione dell’Ottantacinquesimo compleanno di Bernard Haering (10/ 1 1/97) è uscito il suo ultimo libro: «Haering, un’autobiografia a mo’ di intervista», a cura di Valentino Salvoldi (Ed. Paoline). Forse sarà proprio l’ultimo, perché il celebre teologo pare stia proprio male da morire.
Non era malato di cancro e contemporaneamente sotto processo all’ex S. Uffizio, benché sia stato il teologo più attivo al Concilio ed uno dei più stimati dagli ultimi Papi?
Proprio così. Ma nessuno crede alle eresie di Padre Bernard. Chi lo conosce anzi lo reputa un santo e un Profeta.
Ma guarda, il Papa da alcuni anni chiede scusa a tutti – a nome della Chiesa del passato – (con buona pace di chi dice: «I peccati sono solo i nostri e la Chiesa non deve battersi il petto davanti a nessuno»). Allora perché non chiediamo perdono anche al nostro Padre Redentorista, prima che muoia? Lo faremmo morire contento e non avremmo bisogno di fare l’ennesima riabilitazione «post mortem» (alla memoria), come per Galileo, Savonarola, Rosmini, Semeria e tanti altri.
Io ricordo solo due Profeti che hanno avuto le scuse e il riconoscimento da vivi: Padre Turoldo e don Primo Mazzolari. Il Davide Turoldo, che tuonò una vita come un antico profeta, ebbe il suo metropolita Card. Martini che gli chiese perdono e gli riconobbe il dovuto merito. (Ma chissà perché qui non chiede mai scusa chi ha commesso le colpe, ma sempre i più sensibili e più buoni rappresentanti delle istituzioni).
L’altro fortunato è stato il Profeta letterato Parroco di Bozzolo, Don Mazzolari, per opera niente meno di Papa Giovanni, che lo chiamò personalmente a Roma, ma rischiò di non vederlo per la «solerzia» dei suoi maestri di camera, che non lo fecero passare. Il Papa ha dovuto mandare personalmente il suo segretario per acciuffarlo, prima che rientrasse nel cremonese. Così il Caro don Primo, dal grande cuore che capiva i lontani (per questo era odiato dai vicini), si sentì dire la celebre frase del Papa Buono: « Ecco la tromba dello Spirito Santo che soffia nella Bassa Padana». L’anno dopo (1959) Mazzolari morì tranquillo.
Certo che la lista dei Profeti meno fortunati (solo perseguitati in vita e non riconosciuti) è lunga. Pensiamo a Don Milani. Anch’egli tormentato dal cancro e dal processo dello stato per la difesa dell’obiezione di coscienza, inutilmente attese un gesto di approvazione della Chiesa prima di morire. La «festa» glie l’hanno fatta dopo. E Padre Balducci, processato con lui ma morto un quarto di secolo dopo? Non una parola di approvazione.
Più fortunato fu Padre Umberto Vivarelli, meno conosciuto ma grande profeta. Qui il riconoscimento avvenne a Sotto il Monte, nella chiesa che già era stata di Padre Turoldo. Il popolo presente poté parlare (come dovrebbe avvenire sempre, per non sentire le bugie ufficiali). Lui fu Carmelitano poi ospite dei Serviti. Ebbene in quella occasione parlarono anche i due superiori provinciali presenti di questi due ordini, riconoscendo la santità di questo prete.
Ma non capita solo a noi ecclesiastici di riconoscere o di essere riconosciuti solo alla memoria. Capita anche ai laici. Anzi a volte capita anche di peggio. Pensate a Paulo Freire, il Profeta della «pedagogia degli oppressi», morto sei mesi fa, la cultura laica e i giornali che pretendono di essere illuminati lo hanno ignorato, non scrivendo una parola su di lui. L’apostolo degli Oppressi per tutta la vita (imprigionato prima ed esiliato poi), fu emarginato anche in morte!
Torniamo a Padre Haering, che nel libro non fa i nomi dei suoi delatori – pur conoscendoli – non perché altolocati, ma perché non conserva odio, anzi vorrebbe avere la loro amicizia, da Nonviolento quale è. Egli mostra un grande amore alla Chiesa, pur avendo ricevuto botte ingiuste. Non ha mai pensato di abbandonarla, ma ha sempre parlato e scritto – in verità e giustizia per suo amore (La Chiesa è il «popolo di Dio, in cammino per il mondo, sotto la guida dello Spirito») (Vat. II°).
Il libro si legge come un romanzo, ma racconta solo la sua vita, le sue sofferenze che non gli hanno tolto la gioia nella lode del Signore. Il suo testamento è di un grande amore alla Chiesa, la quale pure deve convertirsi, per diventare liberata e liberante.
[nella foto: Bernard Haering]