Leandro Rossi per “Rocca – periodico quindicinale della Pro Civitate Christiana Assisi”, numero 19, 1° ottobre 1997, p. 39.
La Cassazione esce con una nuova sentenza, che mostra notevole sensibilità morale e senso delle sfumature. Ha dato ragione ad una donna alla quale era stata addebitata la colpa di separazione perché aveva avuto una relazione. Definisce « a dir poco riduttivo» il ritenere il dovere di fedeltà solo come astensione dall’adulterio. Si può tradire senza avere l’amante. La fedeltà, infatti, è sinonimo di lealtà e può essere violata anche in assenza del cosiddetto «tradimento», ferendo «la sensibilità e la dignità del coniuge». D’altro canto non basta la scappatella per essere definiti infedeli. Il «dovere di fedeltà non si limita e non si esaurisce nell’esistenza di una eventuale relazione, ma consiste nell’impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi e non deve essere soltanto intesa come astensione di relazioni sessuali extraconiugali».
Ce n’è a sufficienza per far inorridire i legulei e i «benpensanti»; ma anche per far esultare chi apprezza una morale interiore con il senso delle sfumature e chi condannava da sempre un diritto troppo esteriorista. Noi sosteniamo da sempre che l’« infedeltà » non è solo sessuale. Ci sono tante piccole (o grosse ?) infedeltà quotidiane che spingono quasi inevitabilmente all’infedeltà sessuale il coniuge. E allora: chi è il coniuge «innocente»? Chi si sceglie un altro partner sessuale, o chi spinge il coniuge a farlo? Chi può giudicare chi dei due ha sbagliato di più?
Il Codice di diritto canonico «vecchio» non mostrava tale sensibilità. Diceva che « per l’adulterio, l’altro coniuge ha diritto di separarsi anche in perpetuo» (can. I 129). «Il coniuge innocente (cioè il non-adultero), anche se si è separato di propria autorità, non ha assolutamente nessun obbligo di tornare a convivere con il proprio coniuge » (can. 1 130). Ricordo con quanta forza Haering contestava questi canoni a scuola, dicendo che il diritto canonico conferiva ai coniugi il potere di non perdonare e di non osservare il Vangelo! E il «nuovo» Codice canonico del 1983 ? Raccomanda che l’offeso perdoni, mosso da carità cristiana o dalla sollecitudine per la famiglia (can. I 152), ma sembra supporre che si tratti solo di una esortazione, perché si affretta a dire che è suo sacrosanto diritto sciogliere la convivenza coniugale (nella permanenza del vincolo). Riconosce poi il diritto del coniuge innocente di riaccettare in seguito la convivenza ed interrompere la separazione, ma parla comunque di coniuge «innocente» e «colpevole», come se Cristo ci avesse detto di giudicare e di condannare!.
Per arrivare al campo morale, mi pare che sotteso alla approvazione o meno della Corte, ci sia un giudizio etico diverso, del tutto diverso, su vari aspetti della disciplina morale. Poniamo, ad esempio, la morale sessuale. La tenerezza ieri non era un valore (mai i genitori si facevano vedere dai figli mentre si baciavano, né avevano qualche manifestazione pubblica di affetto). Da qui a ritenere l’affettività niente e l’infedeltà tutto, il passo è breve. Non c’erano troppe sfumature, pareva che non fosse l’amore a legittimare la dedizione sessuale, bensì solo il matrimonio.
Ma anche la morale generale è interessata qui. Da tempo i teologi dicono che noi facciamo in vita una opzione fondamentale (per l’Io o per Dio, egoista o altruista). Questa scelta di fondo sarà quella da cui dipende la nostra bontà o cattiveria (pur senza dire che gli atti concreti non contano nulla); su di essa saremo giudicati al termine della vita.
Oppure vien fuori l’idea di peccato, che non è tale perché Dio se no si arrabbia (quasi fosse un Dio sadico che ci trova gusto a proibire proprio quello che ci fa piacere); ma il «peccato è mancanza d’amore». Allora si capisce che ci può essere il peccato anche quando non c’è il tradimento; come questo potrebbe essere ridotto, a un momento di debolezza, in chi tenerezze dalla moglie non ne registra mai.
Si comprende anche perché Cristo ha rifiutato la morale farisaica, esteriore, fissista e legalista; e ha proclamato la morale dell’interiorità e del cuore, congiunta con quella delle beatitudini. Il coniuge che si considera offeso e si reputa «giusto», fa come il fariseo del Vangelo; là dove il « colpevole », che si batte sinceramente il petto, diventa invece l’innocente per il perdono ottenuto. Chi deve riconciliarsi con il fratello? Forse chi ha « tradito »? No. «Tu» – presunto innocente – va prima a riconciliarti con il partner. Brava Corte. Attuando il diritto, c’insegni il Vangelo.
[Hans Holbein il giovane, Donna con scoiattolo e storno, 1526-1528, particolare.]