Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 48, maggio-giugno 1997, pp. 4-5.
Il direttore generale dei penitenziari, Michele Coiro, scrive ai direttori dei penitenziari che si debbono approntare le strutture per consentire l’affettività in carcere, non solo con il partner, ma anche con la famiglia, che potrà girare nei giardini delle patrie galere. C’è chi esprime soddisfazione (non solo tra i carcerati e le loro famiglie); c’è chi espone timori e preoccupazione; c’è persino chi fa un processo alle intenzioni: il provvedimento non nascerebbe dalla necessità di umanizzare l’ambiente carcerario, ma dalla volontà di dare un contentino ai galeotti per tenerli buoni e continuare a reprimerli nel resto. Ciascuno può pensarla come vuole. Io approvo con entusiasmo tutto, quando (specie nel carcere) va nella direzione di una minor repressione e di una maggiore umanizzazione. Mi sento anzi in colpa per non avere mai scritto un articolo su questo problema, benché sulla nostra rivista: Utopia Possibile cerchiamo di ricercare appunto le cose che sembrano impossibili, ma che si potrebbero realizzare, se qualcuno si battesse a loro favore. Qui mi sono sentito spiazzato. I tempi hanno precorso la mia speranza! Meglio così. Accetto lo scacco e gioisco per i diritti umani che si vanno affermando. Restano (o si accrescono) i problemi; ma questo è normale. Vediamo di individuarne alcuni.
C’è anzitutto il problema di come vedere l’affettività in carcere. Cominciamo dalla affettività in generale. Tra partner comporta tre cose: l’amore, l’eros e il sesso. Tutto può sempre degenerare (specie le cose più belle, come l’amore, la fede, ecc.). Ma per me credente si tratta di cose altamente belle e positive. Provengono da Dio Creatore, che si complimentò dopo ogni opera creativa, e si complimentò maggiormente dopo la creazione dell’uomo (valde bonum), “A immagine e somiglianza di Dio li ha fatti: maschio e femmina li ha fatti”. Ma nella Genesi non c’è solo il “Dio vide che era cosa buona”; ma anche “non è bene che l’uomo sia solo, per questo creò la donna. Come nella liturgia. matrimoniale c’è che i coniugi debbono stare assieme nella buona e nella cattiva sorte”. La famiglia (a cominciare dalla moglie) ha diritto all’affettività del marito e del padre; come questi deve essere sostenuto e confortato dall’affetto dei propri cari. Il messaggio sessuale non deve essere minaccioso e angosciante; bensì affascinante, per la vita di ogni essere umano.
C’è poi un problema concreto sulle modalità di attuazione. Non vorremmo che accadesse come per l’educazione sessuale, ove il “modo” diverso di concepire alcune cose sacrificò il diritto dei giovani a sapere e il nostro dovere di educare. Si può ipotizzare anche che le prime statuizioni non siano le migliori e perciò non le ultime; ma intanto consentono di iniziare. lo penso che in un’era pluralista bisognerebbe guardare più agli “atteggiamenti” che ai comportamenti. Si potrebbe intendersi ad esempio – almeno su questi tre postulati etici. Primo: Il rispetto. Il rispetto prudente non può permetterci di ferire la dignità degli altri. Secondo: la sincerità.
Bisogna evitare ogni forma di falsificazione o contraffazione dell’amore che è la sola (‘vera”) che richiede riconoscimento. Terzo: la responsabilità: verso se stessi, verso gli altri e verso le conseguenze dei propri atti. Sono i tre principi esposti in un documento aperto degli austriaci sul problema della moralità sessuale. C’è inoltre il problema del cosiddetto permissivismo, applicato qui alla galera. C’è chi si illude che serva la repressione a far cambiare vita al detenuto. Magari pensando che più severa è la detenzione e più speranze ci sono che i criminali cambino o i deboli siano trattenuti dal delinquere. Di questo passo si va dritto al… pane e acqua o, peggio, alla pena di morte, che tuttavia non serve ad eliminare la delinquenza, ove c’è. La finalità della pena è l’emendazione del reo e la repressione non serve a raggiungerla (o ben poco). Il bastone è per le bestie (o forse neppure). L’uomo ha un intelletto per capire e una volontà per decidere. Ha bisogno di stima e di affetto. Deve sapere che c’è chi crede in lui e si fida… È lacrimevole che spesso creda nella repressione della fiducia (o mostri fiducia nella repressione) proprio chi dice di credere nel Vangelo: che è buona notizia”, “lieto annuncio”, “gioia di vivere”.
C’è infine il problema della ulteriore umanizzazione delle carceri, dei carcerati e del loro familiari. Che non ci capiti di ritenere utopie davvero impossibili cose che lo sono soltanto perché nessuno ci crede o si batte per esse. L’uomo diceva Paulo Freire, morto da poco ha bisogno di quattro cose (oltre la libertà): l’affettività, l’identità, la comunicazione con gli altri e il lavoro. C’è spazio per sbizzarrirsi nella programmazione futura.