In “Utopia possibile”, numero 46, gennaio – febbraio 1997, p. 4 e 5.
Sarebbe meglio dire: “Depenalizzare la droga?”. Qui per droga la intendiamo tutta senza distinzioni tra droga, leggera e pesante.
E la “legalizzazione” è in realtà una “depenalizzazione” cioè non vuol dire che la si approva (la droga), ma che si rinuncia a punirla.
Per giunta non è liberalizzazione perché non la si rende accessibile a tutti, ma la si consentirebbe a determinate condizioni, in nome del principio della tolleranza o del minor male che dir si voglia.
Il quesito è poi di ordine “politico”, giuridico non propriamente “morale”. Si tollera il male, ma non lo si approva, anzi si riconosce che è male. Quindi la droga può restare uno sbaglio per tutti, quale che sia la scelta che si fa a favore o contro la legalizzazione.
La risposta al problema giuridico-politico non dovrebbe essere data a priori, ideologicamente, come sono tentati di fare sia il proibizionismo che risponde No, sia l’antiproibizionismo, che risponde subito sì. La regolamentazione non è permissivismo (anche se può venire da taluni distorta in senso permissivo, come del resto la proibizione può venire forzata in senso solipsistico). La regolamentazione è un tentativo (e si spera un mezzo) per contenere i danni della droga. Può essere anche un mezzo sbagliato. Discutiamone, ma senza fanatismi. Vanno soppesati i vantaggi e gli svantaggi di ogni posizione. Non ci sono ragioni apodittiche, quasi che metà elettori non capiscano niente e la propria metà soltanto sia fatta di persone illuminate.
Dialoghiamo, magari per arrivare soltanto ad una posizione di dubbio.
Solitamente finora, chi non voleva sentirsi squalificato dagli uni o dagli altri (proibizionisti o anti) rinunciava a pronunciarsi, per affermare la priorità del discorso educativo (di responsabilizzazione); o preventivo (di eliminazione delle cause); o medico (di cura): ciascuno ha una sua priorità da conclamare. E sta bene, qui però vorremmo fare anche gli arbitri del gioco, i moderatori del dialogo, i giudici del dibattimento. Sarà possibile? Proviamoci.
Il dibattito
Bisogna evitare anzitutto i colpi bassi, cioè il non trasmettere la verità dei fatti o il calunniare i sostenitori della opinione contraria alla propria. L’antiproibizionista, ad esempio non è un corruttore di gioventù, come il regolamentarista non agisce per far drogare i giovani, ma esattamente per il contrario, cioè ridurre il danno della droga. Lo stesso vale per il fronte opposto. Ad esempio il proibizionista non è un dittatore o un autoritario, ma chi confida in certi metodi educativi tradizionali. Ci vuole il rispetto dell’avversario politico, e delle opinioni che esprime, anche se ci pare di doverle respingere.
I motivi
Chi è favorevole alla DEPENALIZZAZIONE dice pressappoco così. Con la spada di Damocle del reato e della pena, la droga, resterà nel sommerso e il drogato non potrà essere educato, né aiutato a risolvere i suoi problemi. Si dice inoltre che il proibizionismo favorirebbe il mercato nero, i tagli della “roba”, che potrebbe portare alla overdose o alla stessa, morte; non favorirebbe la diffusione delle norme igieniche e dei mezzi profilattici, ecc. Insomma non permetterebbe in concreto la cosiddetta riduzione del danno. Infine, una legge di facciata (perché non osservata) favorirebbe l’ipocrisia o il trasgressivismo delle leggi?
Chi è contrario alla LEGALIZZAZIONE risponde che il mercato nero non si riuscirà a batterlo con la droga di stato; che i rischi non si fanno correre proibendo la droga. La tolleranza, inoltre verrà scambiata dai giovani per approvazione, per cui si drogheranno con la… benedizione dello stato. La legge che proibisce, invece, favorirebbe anche l’educazione e aiuterebbe i “deboli” più tentati di ricorrervi se a portata di mano. I drogati aumenterebbero perciò a dismisura. Infine tale processo di diffusione della droga sarebbe dopo pochi anni praticamente irreversibile.
Che dire? Niente!
Ciascuno soppesi e scelga dove ci sono più vantaggi (o meno svantaggi). Ma non consideriamoci nemici per la differenza di sensibilità e di valutazione. Anzi sentiamo che il dialogo serio è arricchente e gli apriorismi non servono.