Marco Sartorelli per “Utopia possibile”, numero 42, gennaio – febbraio 1996, p. 29 – 31.
l tema della pace è senz’altro di grande attualità, è l’argomento che non è mai stato svalutato, che non è mai passato di moda. Da questa considerazione dovrei ricavare che l’umanità, da tempo immemorabile vive in Pace. Purtroppo constato che non è cosi. Allora mi viene il dubbio -neppure tanto peregrino- che la parola Pace, più che indicare un concetto con un significato autonomo, piuttosto che affermare un valore universalmente accolto, sia, invece, un termine subordinato, sia una reazione ad un altro concetto, ad un altro vocabolo, ossia alla guerra. Pare non si riesca a vivere in Pace, ad educarsi alla Pace ed a pensare alla Pace se non come astratta risposta verbale, come fatto secondario e consequenziale alla carneficina, allo spargimento di sangue, alla violenza: insomma agli aspetti più evidenti ed abominevoli della guerra.
Ora, ciò che vorrei indicare con queste righe è un modo per essere autenticamente uomo di Pace, senza ricoprire il ruolo sociale e politico che pare abbia caratterizzato e limitato la maggior parte di tali figure: le quali, poi, forse hanno anche saputo sancire degli armistizi, dei trattati di Pace, hanno burocraticamente chiuso delle guerre, ma nulla potevano fare per la Pace totale, per la Pace che ognuno deve recare con se.
Il concetto di base che intendo proporre non è una novità, molto spesso vi faccio ricorso; ciò non significa che io tenda a ridurre ogni problema a questa mia idea, bensì ritengo che tale idealità riesca a comprendere e a dare delle risposte e degli orientamenti esistenziali positivi ad ogni interrogativo umano.
Cos’è la Pace? Ed intendo il valore in se, quello slegato dalle pratiche opposte, quello che non implica una definizione per negazione. La Pace è la trascendenza dell’Io al Noi, è una sintesi dialettica in continua evoluzione in cui l’uomo veramente può riconoscersi nell’altro. E questa dinamica non si risolve nella banale somma dell’altro lo (dato fisico), bensì è svelamento ed attrazione ed amore per l’unità ontologica originaria umana che è vita insieme: il Noi (dato sostanziale).
Noi non è la semplice interrelazione fra persone, bensì è percezione della similarità umana, è condivisione, è accettazione, è solidarietà, è fiducia.
Il Noi è l’incontro fra persone e ciò significa comunicazione intima per cui ogni interlocutore muta, migliora il proprio atteggiamento grazie all’Altro e tramite la propria disponibilità a cambiare e a cambiarsi.
Questo discorso permette di introdurre alcuni versi significativi di David Maria Turoldo:
Guerra è appena il male in superficie:
il grande Male è prima,
il grande Male è l’Amore-del-Nulla.
Cos’è questo terribile Amore-del- Nulla? A mio parere significa separazione del concetto-pratico di insieme, che è l’entità Noi. Il Male primario, quello grande, dunque, è l’annullamento del Noi, da qui soggiunge il male di superficie: la guerra.
Ora cerco di tirare le fila del discorso che dovrebbe farsi più chiaro. Denunciare la guerra è un atto meritorio, ma è anche un gesto semplice ed inflazionato. Non è vero, infatti, che l’assenza di guerra tra le nazioni sia sinonimo di Pace; non è vero che si può educare alla Pace soltanto parlando o proponendo ideali di Pace. La Pace è qualcosa di più ampio, è un valore ed in questo senso difficile da misurare, ma è anche un concetto-pratico e sotto tale aspetto è maggiormente definibile.
Per la Pace, quindi, bisogna creare la cultura comune del Noi, ciò significa attivarsi per la costruzione di personalità caratterizzate dagli atteggiamenti positivi di collaborazione e non di antagonismo e di competizione. E, considerato che vi è una continuità tra i comportamenti microsociali e macrosociali, è fondamentale che un messaggio sia autenticamente non violento e sia espressione concreta di Pace, ognuno oltre se stesso e sia solidale con l’altro. Cosi all’Amore-del Nulla si potrà sostituire l’Amore dell’Altro, solamente in questo riconoscimento ci sarà la Pace diffusa, Pace che si irradia dal particolare all’universale.
La cultura del Noi, però, viene distorta, viene manipolata, basta vedere come è degradata dal potere consumistico-edonistico di questa nostra società. Come agisce questo potere? Bè, per vendere i suoi prodotti, per trasformare in bene di consumo qualsiasi cosa, sentimento, valore, ha instaurato una cultura del Noi mercificata, ha livellato l’uomo il quale ormai è privo di personalità; egli, però, la può acquistare: con il capo d’abbigliamento firmato compra la creatività che non ha, con l’automobile di lusso fa sfoggio di un indicatore sociale di stile di vita che in realtà quasi mai corrisponde con l’essere autentico della persona. La cultura del Noi di questo potere è quella della rincorsa, della performance, della concorrenzialità, tutto si può comprare anche il proprio essere poiché quel che conta è l’apparenza, non la sostanza. Il Noi non si crea dall’incontro di persona, ma è determinato dalla identica richiesta di consumi, di piaceri Il Noi spacciatoci dal potere è un Noi individualistico, egoista. È un Noi guerriero, che porta distruzione, che ci inganna perché ci parla di Pace per fare gli affari, ma gli affari si fanno tra uomini che non sono pacificati, uomini che sono in guerra con gli altri.
Ho cercato di andare oltre l’immediato, però considerandolo; ho provato a superare la semplice denuncia proponendo il cammino dialogico di un uomo lacerato e lacerante che non vuole smarrirsi nella sua opportunità di essere protagonista di vita; un uomo che sa andare controcorrente e capace di assumersi la responsabilità personale di essere uomo pacificato.
Questa capacità di essere uomo nell’Altro ha un profondo valore esistenziale, è la dimensione primaria da evidenziare perché è quella che garantisce veramente la Pace.