Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 42, gennaio – febbraio 1996, p. 20 – 21.
In questi giorni si ricorda il nostro Don Carlo Gnocchi per i 40 anni dalla morte e per l’approssimarsi della beatificazione. Non ho avuto la fortuna d’incontrarlo (quando è morto io non ero ancora prete, ma solo diacono) e tuttavia grande influsso ha avuto nella mia vita, perché nacque nella nostra terra, perché si è occupato degli emarginati, perché l’ho trovato presente puntualmente intanti campi. Egli fu l’eroe di guerra, fu il prete dei mutilatini, l’educatore della sessualità.
Come cappellano di guerra, nella terribile ritirata di Russia, fu segnata la sua vita. Egli capi meglio di ogni altro l’assurdità della guerra, che strideva contro la sua sensibilità affinata. Mi pare di vederlo nel terribile inverno russo che resiste contro il male dei combattimenti, sostiene il morale dei soldati, riceve i messaggi dei morenti. E giusto a casa corre con il guzzino a confortare le vedove, ad accarezzare gli orfani, a parlare loro del povero papà.
Ma la guerra c’era stata anche da noi. Don Carlo si fece carico dei mutilatini, che divennero appunto i mutilatini di don Gnocchi. Ero prete novello quando mi capitò di aiutare il Parroco di Pessano in Brianza. Mi portò a vedere la casa che don Carlo aveva avuto dalla contessa e dove c’erano le mutilatine. Mi ha fatto impressione vederle contente, sapere che era studiato il loro inserimento in un appartamento a due, potevano ricevere le visite dei loro ragazzi in Comunità. Per quei tempi erano cose d’avanguardia. Scoprii cosi l’intelligenza (oltre al cuore) di don Gnocchi. Gli Handicappati una volta si assistevano ghettizzandoli e segregandoli, quasi per togliere i “mostri” dagli occhi dei normali. Don Carlo capi che bisognava passare dalla ghettizzazione alla socializzazione e dalla socializzazione alla riabilitazione. La sua fu una assistenza fatta non solo con il cuore, ma con la mente.
Ma capi anche che i giovani, compresi i mutilatini, avevano un cuore, una affettività, una sessualità. Ho scoperto quasi per caso il suo libro: “L’educazione del cuore”. Lo lessi di un fiato, clandestinamente (quasi fosse un libro pornografico e non educativo) mi pareva di sognare nel leggere proprio quanto il mio animo voleva sentirsi dire in quel momento. Ricordo che capii allora che la sessualità era un dono di Dio, da vivere non con paura, ma con serenità e responsabilità, tanto che il mio primo libro divulgativo fu appunto: “ll dono della sessualità”.
Mi incontrai moralmente con il prete dei mutilatini un’altra volta, quando il Generale dei Fatebenefratelli voleva offrirmi una casa a Campagno (la famosa casa rossa allora disabitata) per mettervi la comunità dei drogati. Mi rivolsi all’amministrazione che allora scopriva un monumento a don Gnocchi. Il Comune mi disse di no: “Abbiamo già 600 matti, saremmo matti a prendere anche i drogati!”. lo scrissi al Sindaco perché la lettera fosse protocollata. Rispondevo: “Mentre festeggiate il prete degli emarginati di ieri mi proibite di occuparmi dei drogati di oggi. Il vostro don Carlo si rivolta nella tomba”. Abbiamo fatto fagotto e ci siamo assestati in collina, ma nel comune di Graffignana.
Cosi appresi un po’ da lui anche la resistenza di fronte alle difficoltà. Le sue erano colossali, durante la guerra al fronte e nel dopoguerra per sistemare e mantenere i mutilatini. Eppure ha resistito e ce l’ha fatta. Ora sentiamo che oltre che eroe era anche santo. Lo si intuiva, quando lo si vedeva fotografato accanto ad un suo bambino malato, con il volto sorridente che rischiarava anche il volto del piccolo. Sereno nella tormenta, perché “Andava dove lo portava il cuore”. Mi sembra questo il suo grande segreto. Ebbe cuore per i soldati, per gli orfani e per le vedove, cuore per i mutilatini e per gli handicappati insegnò l’educazione del cuore agli adolescenti. Aveva proprio fatto con cuore- la sua scelta per i poveri.