Marco Sartorelli per “Utopia possibile”, numero 40, luglio – agosto / settembre – ottobre 1995, p. 30 – 31.
Parlare di famiglia non è facile, soprattutto nell’attuale società in cui le dinamiche familiari appaiono controverse, ambivalenti. Da una parte sembra che, in tempo di forte crisi di tutte le istituzioni tradizionali, la famiglia sia l’unica che resiste, che viene rivalutata, che si riscopre. Dall’altra parte pare che anch’essa attraversi un profondo processo di modificazione, che riflette interno le incessanti ed incisive tensioni, conflittualità e contraddizioni sociali. Ritengo di poter affermare, comunque, che non esiste più un unico tipo di famiglia: sociologicamente discriminando ne esistono numerosi, inseriti in vari contesti differenziati. Qual è allora l’elemento unificante le odierne diverse estrinsecazioni di famiglia? Il concetto chiave è l’amore come volontà promozionale, non si tratta quindi di semplice sentimento, bensì di autentica capacità operativa. Dice Bettelheim:
Una famiglia può essere definita felice se, quando le cose vanno male per uno dei suoi membri, tutti gli altri lo sostengono e fanno dei suoi problemi il problema di tutti.
Può sembrare una definizione scontata e lo è se rimane priva di contenuti, ma se l’etichetta trova la sua radice nella sostanza mi rendo conto che tale concetto pratico è innovativo e controcorrente.
Viviamo in una società fortemente disgregata, caratterizzata da sempre più frequenti rivolgimenti sociali e politici, individualismo e consumismo sono peculiarità tipiche del periodo postmoderno, in una parola stiamo vivendo l’atomizzazione della società umana, l’etica comunitaria sembra un valore ricercato e perseguito soltanto da alcuni, che lo realizzano, per lo più, operando in aree e con persone che versano in condizioni di svantaggio sociale.
La famiglia ambiente privilegiato per fare esperienze d’amore, centro di persone che infondono fiducia, che contengono la sofferenza, e sollecitano a ragionare consente di superare la dimensione del soggettivismo e di sperimentare la reciprocità, il riconoscimento del valore dell’Altro in quanto persona. Il ritorno alla famiglia “tradizionale”, dunque, come riappropriazione del proprio essere uomini? Sarebbe troppo semplice e forviante proporre un riflusso di tale genere, perché si è già constatato, nel passato, che l’esaltazione della dimensione comunitaria a scapito di quella personale ha provocato una organizzazione familiare di tipo gerarchico: rigida al suo interno, chiusa verso l’esterno e barricata a qualsiasi tentativo di ingresso in ambito familiare delle dinamiche sociali più ampie. D’altro canto esiste la famiglia “moderna” che ha esasperato il valore dell’individualità, che rincorre il mito del successo, del denaro, della competizione. La famiglia, dunque, è identificabile su un continuum, ma i suoi estremi sono opposti soltanto nella loro manifestazione esteriore, nel loro verso superficiale, poiché la valenza di ambedue è sempre negativa.
La realtà sociale propone ed impone svariati tipi di famiglia, potremmo discutere se ogni modello abbia veramente il titolo di definirsi “famiglia”, ma questo modo di ragionare rientra nell’ambito dei principi, dei costumi, della cultura; dipende da fattori senz’altro importanti, ma che nulla incidono sulla condizione necessaria dell’amore come volontà di promozione e che non determinano le reali dinamiche familiari, relative ad una pluralità di ambienti sociali diversi, che hanno il diritto di vivificarsi, di non smarrirsi, di integrarsi fluidamente. Se intendiamo la diversità come un tratto specifico dell’uomo universale, che comprende in se tutti i segni che rendono simili tra loro gli uomini, allora noi potremmo creare uno spirito di dialogo tra ogni diverso per un fine autenticamente civile e di fratellanza.
La famiglia, al giorno d’oggi, quindi, può essere l’istituzione rinnovatrice se sa proporsi come luogo di negoziazione (al del continuum) delle tensioni e dei problemi di ogni singolo suo membro, sia tra i componenti familiari sia tra qualsiasi altra persona estranea al nucleo dei consanguinei o del parentado. La famiglia deve risultare la sintesi della dimensione personale e sociale, pubblica e privata. Chiaramente, perché questa funzione di cerniera possa effettivamente essere operativa, si deve attuare un duplice riconoscimento: la famiglia è solidale con la collettività e, viceversa, questa (tramite le istituzioni pubbliche) sviluppa un’attenzione, una sensibilità concreta per ogni formazione sociale che tenda alla crescita della personalità dell’uomo.
Troppo spesso verifico che gli enti pubblici e i soggetti slegati fra loro ripropongono dinamiche corporative ed egoistiche. Se, invece, si riusciranno ad instaurare, tra i vari apparati e le persone, delle tendenze all’incontro, alla vicinanza allora si potrà far maturare la cooperazione, la tolleranza, l’equilibrio dinamico ed aperto che è l’autentica risorsa dell’uomo.
La famiglia, a questo punto, non è più riferibile ad un modello specifico cui uniformarsi criticamente, non e più un paradigma valido per tutti, non assume un valore strumentale bensì essa diventa anche una fondamentale agenzia educativa che sa orientare tra le innumerevoli signficazioni che ciascuno può dare al mondo, a se, agli Altri. Svariati sono i punti di vista rispetto al profilo esistenziale, il vero senso della vita non sta nella somma dei differenti significati, bensì in quel cammino di ricerca che si fa con gli Altri, in un confronto disponibile a qualsiasi provvisoria soluzione, ma che sempre tende alla crescita individuale e collettiva. La famiglia in questo percorso di conoscenza può essere la bussola che indica una direzione e non un traguardo predeterminato, può rivelare un verso del processo in divenire che è ogni uomo. In un mondo così mutevole, così tecnologico, cosi ambiguamente ricco, cosi velleitariamente potente e sicuro c’è una sola facoltà che garantisce la sopravvivenza della persona ed è lo sviluppo della conoscenza, intesa come capacità di orientamento e di scelta. La famiglia ha un ruolo importante nell’affermazione di tale valore e possibilità. La sua capacità di avviare processi dialettici si costruisce attraverso la forza di proporsi come casa aperta, casa di tutti e per tutti.
Schematizzando posso individuare famiglie che soffocano i propri membri o si adattano ai modelli del consumismo, del carrierismo: che si fondano sulla ripetitività del già vissuto, sul disprezzo della novità. Questo tipo di famiglia spersonalizza e nuoce alla collettività, in quanto produce aggregazioni omogeneizzate, conformistiche che, illusoriamente, si ispirano ad un equilibrio che, invece, è fissità, l’esatto contrario della persona che è movimento ed agisce dinamicamente.
La famiglia aperta, all’opposto (ma un’opposizione che trovo sempre al centro del continuum e non all’estremo), favorisce l’autonomia dei suoi membri, incoraggia le relazioni e le esperienze sociali, si ispira ai principi democratici, è presente nelle attività di volontariato per agevolare interazioni di sviluppo nei confronti di ogni persona debole, sfruttata, emarginata.
All’inizio dicevo che la famiglia è stata riscoperta; alcuni decenni fa si profetizzava e si auspicava la morte della famiglia, pietra angolare di ogni autoritarismo; spero che quel modello vada scomparendo, poiché esso si impone come luogo di protezione dalla vita e non di iniziazione della vita, come fortezza inespugnabile e nel contempo come roccaforte da cui non si può uscire.
Oggi tra tanti tipi non so dire qual è quello giusto, di certo qualsiasi che venga proposto come il paradigma per eccellenza, scivola nell’errore di chi sceglie il granito della certezza in un mondo così vario che, con facilità, sa contrapporre durezza a durezza, chiusura a chiusura ed è cosi abile in questo genere di operazioni da spacciare la prigionia per libertà, la violenza per forza. Un punto fermo, però, mi pare di averlo individuato: famiglia è possibilità di sperimentare il legame di continuità che c’è fra se stessi, i propri familiari e gli Altri. Nel tempo dell’offuscamento dei valori, della loro considerazione in base a criteri utilitaristici, la famiglia può essere un’occasione per riscoprire il senso di identità erranti, che, invece, sanno riconoscersi nel Noi che opera nel mondo.
[Illustrazione: pittore americano, Madre con cinque figli, prima metà dell’800.]