Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 36, novembre – dicembre 1994, p. 9.
Il Natale di oggi è una celebrazione laica: la fiera del consumismo, dello spreco camuffato di donazione a chi ha meno bisogno e che è unito da vincoli di parentela e di amicizia a noi.
Ma c’è di peggio. La donazione di Natale può assumere il significato di una tangente (ci pensate a quanti regali natalizi avrà ricevuto Poggiolini negli anni passati?).
Ebbene, quest’anno sento che per me il Natale deve essere più che una celebrazione una provocazione. Ma in fondo provocazione era già il Natale di duemila anni fa.
Dio s’è fatto uomo.
Il Verbo si è fatto come noi. Anzi “Si è fatto Carne”. Il corpo indica tutta la fragilità umana, l’uomo come essere di bisogno, non autosufficiente, la cui vita è legata al rispetto e all’aiuto degli altri. Ha preso la sembianza di un bimbo, di un piccolo, ad indicarci che lo dobbiamo vedere non nei Re e nei potenti, ma nei piccoli e nei bisognosi. Ebbene?
“Egli è venuto tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Maria e Giuseppe sono due pellegrini, che non hanno trovato posto nell’albergo: sono dovuti andare in una stalla. Non l’hanno accolto: ecco il dato. Ma non è solo un dato antico, è un dato permanente. Dio entra furtivamente, fuori dai quadri prestabiliti, fuori persino dai quadri religiosi stabiliti! Così il bambino è nato profugo, è nato escluso: non c’era posto per lui. Non c’è mai posto per l’emarginato, per l’handicappato, per il drogato, per il carcerato, per il povero, per il barbone. Non c’era posto neppure quando pareva ci fosse uno stato sociale, meno che mai oggi, nello stato del mercato e del benessere nostro da non turbare. Non sono i ricchi che danno ai poveri. Con la finanziaria sono i poveri che danno ai ricchi, con l’obolo della vedova. Per la legge del profitto e del potere la salvezza causa discriminazioni. Non c’è posto per gli altri. La solidarietà e morta, o lasciata ai volontari, ai poveri. Oggi la legge discriminatoria è ancora più ferrea. Nel mondo cristiano, Erode, Pilato e Caifa solidarizzano tra di loro, malgrado le apparenze.
Dove noi cercheremo Dio, dunque? Non dentro le mura ma fuori. Non tra le persone “per bene”, ma tra gli altri. La tenda di Dio è fuori dalla città. La tenda che Dio ha stabilito fra noi e la carne dell’uomo. Il Suo luogo di manifestazione è la creatura debole e fragile, quella esclusa e emarginata, quella affamata e oppressa.
E i suoi? “I suoi non lo riconobbero!”. E chi erano i suoi che non lo riconobbero? Gli scribi, conoscitori delle Sacre Scritture; i farisei, abili interpreti della legge e del diritto canonico; il Re Erode, che temeva un altro Re; i Sommi sacerdoti che non volevano un’altra chiesa In compenso “i non suoi lo riconobbero”. Gli umili pastori che non sapevano leggere le scritture; e i veri sapienti, i Re Magi, che Dio l’avevano nel cuore. Gli umili che non sanno e i sapienti che sanno di non sapere. Non i rappresentanti del mondo istituzionale, ben pasciuto e riverito, che pretendono di sapere e di potere.
La Pace di Natale non è il contesto necessario per celebrare il nostro egoismo. La Pace che qui si annuncia è radicale, è davvero una pace sociale che non si coniuga con le ingiustizie. Quanto noi abbiamo in più, altri lo hanno in meno. Quanto manca a loro l’abbiamo rubato noi benestanti. Il Natale è insanguinato. La strage degli innocenti è voluta da noi, i “Suoi!”.
[nell’immagine un particolare di: Bernardo Strozzi, Adorazione dei pastori, 1615]