Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 9-10, maggio-giugno 1990., pp. 8-9.
M i si chiede un giudizio sulla nuova legge della droga. Sono tentato di rispondere: “Ormai è finito il tempo dei pre-giudizi: bisogna dare tempo per esprimere finalmente un giudizio, non ideologico né preconcetto”. I “pre-giudizi” vanno da quello liberista a quello proibizionista, passando attraverso sfumature varie di chi parteggia più per la legge o per la libertà. Sembra di trovarsi nel 1600 e nel 1700 quando si discuteva sui sistemi morali e ce n’erano per tutti i gusti: probabilismo, equiprobabilismo, probabiliorismo.
Obiettivamente l’attuale legge sembra nata più per la volontà di tranquillizzare la gente, preoccupata del fenomeno droga, che dalla volontà seria di aiutare i tossicodipendenti e le nostre comunità. Io non sento fiducia per la repressione, ma sentendomi profondamente credente confido nell’uomo e in Dio. Non nel codice, ma nel Vangelo, che è annuncio di gioia e di liberazione.
Con la paura non persuaderemo nessuno. Meno che mai i tossici, che rischiano quotidianamente la morte e lo sanno. Con loro dobbiamo trovare solo motivi di vita e di speranza. Non è la legge che salva.
Come mai noi cristiani dimentichiamo questo messaggio evangelico così semplice, moderno e lineare? Non è un comodo alibi confidare nella legge, aspettare da essa quello che non può dare, e sentirsi cosi a posto, prima ancora di incominciare ad impegnarsi personalmente?
Noi chiediamo alla legge solo che non ci ostacoli. Non permetta più ai giudici di mandarci i poliziotti a prelevarci i ragazzi dalle comunità per portarli in galera. E poi tutti dicono giustamente che la galera non ha mai salvato nessuno!
C’è poi un mare di burocrazia che la legge (compresa quella regionale 51/88) ci costringe a sopportare. Provate a chiedere l’abitabilità per la sede della comunità, che pure è da sempre una casa normale di abitazione, magari tra le più belle. Vi mancherà sempre qualcosa per poterla ottenere. La vostra tavola di famiglia sarà scambiata per quella di un ristorante di prima categoria e dovrete sentirvi in colpa di aver dato da mangiare alla gente prima del timbro di una USSL (se aspettavate il timbro, potevano tutti morire di fame).
Un rammarico per una mediazione mancata, c’è. Io sono per il manifesto “educare e non punire” delle Acli di Bianchi e del CNCA di Ciotti. Avevo detto però a loro: Non serve fare il muro contro muro. Chiediamo qualcosa di fattibile e di concreto. Ma ci voleva lo scontro, come al tempo dei referendum aborto e divorzio. Non ci si poteva ascoltare. Eppure non manca ora come allora, chi faceva delle proposte medie (la politica non è l’arte del possibile?). Don Pocchi, ad esempio, chiedeva che al magistrato fosse domandata una sapiente discrezionalità, anziché automatismi di sanzioni. Bisognava sostituire a sanzioni amministrative (del prefetto) e penali (del pretore) delle sanzioni sociali e pedagogiche. Lo stato, cioè, invece di creare commissioni per condannare, dovrebbe creare commissioni di persone preparate ad aiutare concretamente chi vuole uscire dalla droga (e presto o tardi lo vogliono tutti). Convochi i familiari che spesso credono di aiutare i giovani ad uscire dalla droga mentre li aiutano a rimanervi, per una malintesa e incondizionata accoglienza (lasciando ai drogati solo lo sfruttamento dell’affetto dei congiunti). Convochi il consumatore senza concedergli la possibilità di dribblare, ma offrendogli un concreto aiuto se vuole cambiar vita.
Don Ciotti ora sembra fare il duro. “Noi faremo la disobbedienza civile!”. Una frase ad effetto. Strana malgrado il neotestamentario: “Dobbiamo ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini”. C’è bisogno di dirlo che la legge non può giocare con la nostra coscienza né di cristiani, né di educatori? Io sono un educatore ed entro nel problema come tale. lo non sono un poliziotto né un secondino. Non accetto il travolgimento della mia professionalità. Dal carcere ho sempre preso i giovani, benché il ministero di Grazia e Giustizia, che prometteva una retta non ci abbia dato mai niente. Domani saremo più guardinghi a prenderli (quand’anche arrivassero allettamenti economici).
La comunità e il carcere sono agli antipodi. Non però per il tenore di vita o altro. Ma perché in comunità ci si va e ci si resta liberamente. Se ci tolgono la libertà del giovane ci tolgono tutto! Con la nuova legge ci toglieranno ancora dalla comunità chi ci sta volentieri per costringerci ad accettare chi non vuole entrare?
Staremo a vedere. Basterebbe questo punto per valutare l’efficacia o l’assurdità di una legge.
[immagine: Giuseppe Pellizza da Volpedo, Lo specchio della vita, 1895-98, particolare.]