“Utopia possibile”, numero 7, febbraio 1990, pp. 25-26.
La nostra comunità battezzata Gandina dal nome della via in cui risiede, fa parte del gruppo di comunità fondate da Leandro Rossi che nell’insieme costituiscono la cooperativa Famiglia Nuova.
Nata dalla ristrutturazione di un vecchio cascinale si trova nel comune di Pieve Porto Morone in provincia di Pavia, situato nella bassa pianura Padana, dove la principale attività lavorativa è l’agricoltura.
La nostra comunità comprende un discreto appezzamento di terra da noi utilizzato per la formazione di un orto e di una serra che, oltre a permetterci di avere verdura fresca per tutto l’arco dell’anno, ci dà la possibilità di creare un attività lavorativa che ci realizzi e ci permetta di avere un contatto diretto con la natura.
Le nostre attività lavorative oltre all’orto e alla cura della casa comprendono, nel periodo primaverile e estivo, la manutenzione del verde nelle scuole e negli istituti dei comuni a noi assegnati. Questo lavoro si integra con il corso di formazione orto-vivaistica, indetto dalla Regione, a cui la maggioranza di noi (avendo, come prescrive il regolamento, età inferiore ai 25 anni) è iscritta. I partecipanti a questo corso, hanno avuto la possibilità, nel mese di Dicembre, di recarsi per un periodo di 15 giorni in Spagna, per la lavorazione di un giardino. Questa visita si integra nel disegno di uno scambio culturale tra noi e un gruppo di ragazzi spagnoli che precedentemente, nel mese di settembre, abbiamo ospitato nella comunità di Montebuono (Perugia) per un periodo di 15 giorni.
La struttura della nostra comunità comprende anche un capannone prefabbricato, pensato materialmente per un attività artigianale, attualmente inutilizzato. Era in progetto l’apertura di una falegnameria ma, nonostante la nostra volontà di apprendere, ci manca una persona che ci insegni il lavoro. La creazione di questa nuova attività ci avrebbe aiutato ad occupare il periodo invernale che invece, ci gestiamo con delle riunioni culturali e di confronto altrettanto utili e interessanti.
Nella nostra valutazione di come presentarci e di come esprimere le nostre impressioni sulle metodologie della comunità, abbiamo deciso di trascrivere una discussione in quanto ci è sembrato il metodo più valido a raggiungere una maggiore sincerità di contenuti.
Ugo B. “Quali difficoltà avete riscontrato nell’inserimento in comunità?”
Francesco. “Le difficoltà sono state molte e di diversa natura, la prima inevitabile dopo anni di dipendenza da stupefacenti, l’ho riscontrata quando ho smesso di bucarrni, nel sopportare la scoppiatura fisico-mentale, la seconda, avendo un carattere chiuso, nel riuscire ad aprirmi e a parlare dei miei problemi con i miei nuovi compagni. Dopo un primo momento di inserimento e d’interrogativi, ho raggiunto trasparenza e sincerità nei rapporti interpersonali e di gruppo, sono riuscito ad aprirmi.
Penso che la difficoltà comune per chi entra in comunità sia proprio l’acquisizione e la valorizzazione di questi due valori: sincerità-trasparenza.
Si ha paura del giudizio del gruppo o di mostrare i propri limiti. Chi entra in comunità, deve comprendere che fingere o mascherare i propri problemi dietro la famosa frase “Sto bene, non ho nessun problema” non serve a nulla.
I problemi di ogni singolo devono essere conosciuti dall’intero gruppo, in modo che insieme si possa trovare una soluzione. La comunità ti dà il tempo e i mezzi per farlo, una volta usciti da questa struttura non si ha tempo di pensare e di trovare un aiuto per risolvere quei problemi che ti hanno spinto verso la droga, perché devi affrontare nuovi problemi che l’inserimento nella società comporta (lavoro, solitudine, famiglia, ecc…) e se all’interno della comunità non si cerca di risolvere i primi problemi (solo per non aver menate) i secondi, una volta usciti dalla comunità, si accumuleranno ai primi e inevitabilmente verrai spinto verso l’eroina”.
Daniele. “Mi ci trovo molto nelle parole di Francesco e come non potrei, visto che queste sono le difficoltà comuni per chi entra in comunità. Francesco parla di sincerità e di trasparenza cose giuste ma difficili da trovarsi persino in chi da tempo è in comunità, immaginiamo per chi ci entra. Non tutti sono sinceri e il ragazzo che entra in comunità si adegua di conseguenza ed è per questo motivo che dobbiamo, noi, impegnarci nel formare quell’ambiente di sincerità e di trasparenza in cui deve credere il ragazzo che deve inserirsi”.
Marco. (il più quotato del centro Italia) “Pur condividendo le vostre osservazioni, le accetto solo in parte. Certo, prima di trasmettere dei comportamenti ad uno appena entrato, dovremmo attuarli noi stessi ma penso che in contrapposizione ci sia un comportamento tipico del tossicodipendente: io ne sono un esempio.
La prima difficoltà, l’ho riscontrata nell’accettare gli altri con le loro osservazioni e questa insofferenza è tipica del tossico. Noi tutti sappiamo come un tossicodipendente abbia l’abitudine di scavalcare le difficoltà e i problemi che la vita comporta e pensi solo alle proprie esigenze, fregandosene di quelle altrui. In comunità, convivi con persone più sfortunate di te: abbandonate, ammalate, sole e nonostante tutto attive, vive, impegnate e questo trasforma con il passare del tempo la tua indifferenza, il tuo egoismo, in partecipazione.
Pur riconoscendo le difficoltà del nuovo arrivato nell’acquisire fiducia verso la comunità e la difficoltà di formare un ambiente adatto a questo inserimento, penso che vi siano dei motivi e delle cause indipendenti e non correlabili alla comunità. Chi ha appena smesso di bucarsi non smette di pensare da tossico, non smette di essere insofferente e a questo non può riuscirvi la comunità o almeno immediatamente, ma solo il tempo può riuscire a risolvere questo problema”.
Ugo B. “Certo, quello che dite è giusto, e rispecchia, dalla mia esperienza di operatore, le difficoltà di tutti quelli che si sono avvicinati per la prima volta alla comunità. Ora vorrei riuscire a capire, che compito ha svolto, una volta superate le prime difficoltà, la comunità nel tentare di risolvere i problemi che accompagnano la tossicodipendenza”.
Ugo L. “I problemi da risolvere sono molti e complessi e alcuni non sono di competenza della comunità. Oltre a delle cause caratteriali di ogni singolo individuo, ve ne sono altre individuabili all’interno dell’intera società.
Si pensa che la tossicodipendenza sia dovuta alla sola degradazione di chi ci entra senza cosi dover mettere in discussione i rapporti sociali che si sono creati, come se questa società si basi su delle leggi divine, perfette e questo perché abbiamo raggiunto un benessere accettabile.
I fini della nostra società sono il benessere e come si può vagheggiare di mettere in discussione il sistema di vita che lo produce. Quindi si finge di non vedere o si resta indifferenti al fatto che in parallelo a questo benessere sono cresciuti l’emarginazione, l’individualismo, la perdita di ideali, fattori che alimentano la tossicodipendenza e qualsiasi altra forma di abbruttimento umano.
Dobbiamo capire che se ci si continua a mantenere su questi livelli di vita dovremmo abituarci anche a convivere con questi problemi che non hanno risoluzioni in semplici leggi.
La nostra comunità si è sempre dichiarata anticonsumistica, non ha mai cercato di farci passare perfetto il sistema di vita che ha creato il benessere e lavorando su questa forma di coscientizzazione ci aiuta a porci in modo attivo di fronte ai problemi. La comunità ci insegna ogni giorno come vivere significhi partecipazione, impegno e non menefreghismo.
Affrontare i problemi significhi formarsi quel carattere indispensabile per affrontare e respingere la droga.”
Vincenzo. “Ti aiuta a formarti una personalità”.
Marco. (il più quotato del centro Italia) “Tenta di farti riscoprire chi sei e cosa significa vivere, mortificandoti se è necessario. Questo significa che ti aiuta a comprendere i tuoi limiti per poi riuscire ad accettarli.”