Angela per “Utopia possibile”, numero 7, febbraio 1990, p. 8.
Sono un’insegnante in pensione che vive ormai da sei anni in comunità con ragazzi che tentano di liberarsi dai problemi della droga. Sono ragazzi diversi per cultura, educazione, censo, ma tutti sono sfociati nella droga per tacitare preoccupazioni e tensioni dell’animo e trasformare lo scontento in una dimensione irreale piacevole.
Ci sono figli di “genitori bene” che si sono sentiti dei falliti perché non sono riusciti a conseguire un diploma o una laurea e ad appagare l’orgoglio dei famigliari.
Ce ne sono altri, provenienti da nuclei familiari incapaci di gestire un rapporto educativo coi figli, cresciuti più sulla strada che tra le pareti domestiche.
Altri ancora trascurati, abbandonati a se stessi oppure assillati dalle eccessive premure materne. Quasi tutti non hanno avuto buoni rapporti con la scuola e non hanno di essa un ricordo piacevole: o la considerano troppo severa ed esigente, oppure un luogo dove è lecito compiere qualsiasi marachella e manifestare cosi la propria creatività distruttiva.
Incapaci di segnalarsi con un profitto meritevole, desideravano distinguersi con scherzi, dispetti, rispostacce seguite da sospensioni ed espulsioni.
Qualcuno non è riuscito ad avere l’attestato di terza media, a qualche altro l’hanno regalato a patto che rimanesse assente per non infastidire con la sua presenza l’intera scolaresca a questo punto mi chiedo: che ruolo ha la scuola nella formazione dei ragazzi che passano tra le sue mura? Si preoccupa di educarli alla vita o piuttosto si limita a fornir loro notizie riguardanti le varie discipline?
E quando capitano ragazzi svogliati demotivati, limitati, fa tutto il possibile per non emarginarli ed accostarsi a loro con quell’affetto quasi familiare di cui sono carenti.
Educarli significa aiutarli ad esprimere il meglio di sé, indirizzarli al bene con amore, comprensione, fiducia.
La scuola, secondo me, può essere più di qualunque altro, un luogo di prevenzione dalla droga. Ma occorre che tutte le sue componenti siano animate, oltre che dal desiderio di incrementare la cultura, da quello di trasmettere i valori fondamentali della vita, quali la collaborazione e la solidarietà tra i popoli, l’attuazione della giustizia, l’amore fraterno vicendevole.
Lì i giovani vedranno realizzate negli adulti che li circondano tali idealità, si sentiranno stimolati a fare altrettanto e non avranno il desiderio di provare i piaceri artificiali della droga.
Noi in comunità cerchiamo in genere di far scuola di vita per aiutare i ragazzi a recuperare quei valori essenziali ad una persona onesta e a volte siamo riusciti a far acquisire le nozioni necessarie a superare l’esame di terza media a chi non aveva conseguito la licenza. Sarebbe auspicabile però che da parte della scuola non si lasciasse niente di intentato per aiutare tutti a terminare almeno la scuola dell’obbligo e a recepire quell’educazione alla vita necessaria ad ogni persona umana.
[immagine: Elizabeth Shippen Green, La biblioteca, 1905, particolare.]