Mauro Foroni per “Utopia possibile”, numero 7, febbraio 1990, pp. 19-20.
Testo già pubblicato da “Il Trasimeno” n. 5-6.
Sono stato chiamato in causa per parlare di un argomento molto specifico in un ambito molto ristretto: le comunità terapeutiche per il recupero dei tossicodipendenti inserite nel Comprensorio del Trasimeno. È molto difficile per me che vivo in una comunità di questo genere compiere questo atto di astrazione, senza cadere nell’esperienza personale. Mi scuso con il lettore quindi per le eventuali contraddizioni e per i salti causati dai diversi livelli di analisi.
È proprio dalle contraddizioni che vorrei partire con questa riflessione, perché solo di riflessione si tratta e non di una relazione scientifica.
La prima contraddizione è: da una parte le comunità terapeutiche, concentrazioni di persone etichettate come “prodotti di scarto” da una società di stampo capitalista ed efficientista che sono stati accumulati come rifiuti alla periferia delle grandi città industrializzate e dall’altra un territorio ancora quasi vergine
da incrostazioni di consumo e di degrado ambientale.
Le comunità terapeutiche sono popo1ate da un numero sempre crescente di giovani, che si affacciano in un mondo dove i bisogni più essenziali, come la necessità di relazione tra gli uomini, sono negati da un sistema nel quale la legge del profitto sta al primo posto: i giovani già penalizzati come categoria, perché privi di esperienza, creano un dispendio di energie e di tempo ad un meccanismo obbediente solo alle leggi del mercato.
Le periferie delle grandi città sono degli agglomerati di cemento senza poesia dove la famiglia si riunisce ormai solo per dormire.
Il colpo di grazia lo dà il grande schermo televisivo che controlla gli usi e consumi, nei pochi momenti di relax.
Il territorio dei comuni del Trasimeno è un comprensorio dove la cultura capitalista non ha ancora provocato grossi danni. Il virus del benessere da consumo è ancora osteggiato da un benessere reale consistente in un ambiente naturale spesso incontaminato.
I piccoli centri, e una realtà prevalentemente agricola e artigianale, permettono una cultura dove l’uomo nei suoi rapporti interpersonali e nella sua capacità creativa è protagonista e al primo posto nella scala dei valori.
Le due realtà (le comunità terapeutiche e il territorio del Trasimeno) sono molto contrastanti e potrebbero camminare su binari separati senza integrarsi mai, ma sono convinto che la creatività e i frutti migliori nascano proprio dall’incontro degli opposti…
E molto difficile superare certe barriere, determinate da vecchi schemi conservatori, ma se ognuno facesse lo sforzo-di mettere il naso fuori dalla propria finestra, non avrebbe difficoltà a rendersi conto dell’aiuto reciproco che potrebbero darsi le due realtà. Perché questa unione sia feconda però, la gente e le istituzioni locali dovranno guardare alle comunità terapeutiche non come depositi di immondizie scaricate nelle loro campagne e nemmeno con l’occhio farisaico di quell’assistenzialismo che non tiene conto delle esigenze reali e che fa guardare le cose dall’alto in basso falsandone i significati.
Ma se le istituzioni sapranno cogliere non solo il messaggio di pericolo, nel quale può sfociare una certa direzione politica della società (l’ultima legge sulla droga è un esempio di questa direzione sbagliata) e sapranno collaborare con questi serbatoi di energie attive, sarà più facile costruire una società più umana.
Da sempre il popolo con le sue necessità prime, rese spesso più evidenti nelle forme di emarginazione, ha guidato la storia.
Ovviamente le istituzioni dovranno aprire le porte e dare la possibilità a queste forze di diventare attive e lavorare insieme ad un progetto per una cultura che nasce dal popolo e dalle esigenze più essenziali dell’uomo. Se le istituzioni locali sapranno come Baudelaire veder nascere i fiori dal male, e renderli protagonisti della storia, non correranno il rischio di rimanere istituzioni di beneficienza; intendendo per beneficienza, quella forma di relazione di superiorità che toglie la dignità al più debole e lo mantiene repressivamente sottomesso.
D’altro canto le comunità terapeutiche dovranno impegnarsi in un lavoro di sensibilizzazione, all’interno delle stesse e di collaborazione con l’ambiente esterno di cui hanno una necessità indispensabile, per far sì che non diventino cliniche di riabilitazione e reinserimento in un sistema sociale già prestabilito e accettato passivamente.
Penso che questa fusione di contrari possa essere veramente fruttuosa. Ovviamente l’impegno per una nuova cultura dovrà essere motivato solamente dall’obbiettivo di costruire una società più giusta e più umana, senza usare questa relazione di collaborazione per scopi politici; individuali o speculativi.
Tornando alla situazione specifica del Comprensorio del Trasimeno e di quello che sta avvenendo in merito, devo per forza fare riferimento alla mia esperienza personale.
Vivo da alcuni anni in una comunità terapeutica sulle rive del lago Trasimeno, provando l’esperienza di stare a cavallo, come punto di unione, delle due realtà e ho l’impressione a volte di essere capitato nella terra promessa.
Certo non mancano le contraddizioni, non è tutto semplice e già fatto, ma sicuramente il terreno è molto favorevole e fertile.
L’impegno individuale preso da persone indipendentemente dalla loro appartenenza a gruppi o partiti politici, motivati da una ricerca di progresso nell’uomo, ci ha permesso di collaborare con le Istituzioni sociali, sia per un programma culturale che di lavoro. Spesso il riscontro di questa sensibilizzazione va oltre le nostre aspettative.
Questo è solo l’inizio, ma se le premesse sono quelle che ho elencato, allora possiamo veramente sperare di trasformare “La cultura della droga” in una cultura che migliori le relazioni umane, la convivenza, una cultura non in funzione dei bisogni del sistema capitalista ma dei lavoratori; una cultura della solidarietà, della libertà e della vita: il vero e unico modo di fare prevenzione.
[immagine: Otto Dix, Nelly tra i fiori, 1924, particolare.]