Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 4 – 5, settembre – ottobre 1989, pp. 24-25.
Il Papa si è recato in provincia di Grosseto, nella cittadina di Nomadelfia, per mantenere la parola data nel 1980 a Don Zeno Saltini, allora ottantenne, fondatore di quella città singolare, ove solo l’amore è legge (Nomadelfia significa appunto questo: amore come legge). Don Zeno era il «padre», ma ci volevano le «madri» di quei figli abbandonati.
Passarono dieci anni prima che trovasse la prima madre di adozione. Nel frattempo servirono i «mami» cioè le madri al maschile, in mancanza di meglio.
Niente soldi, niente gerarchie, niente privilegi: né servi né padroni, come amava dire Don Zeno. Ma solo famiglie, nelle quali non si dovevano distinguere i figli propri da quelli adottivi, con un’autorità funzionale che è solo servizio, destinata ad estinguersi quando il figlio diventa adulto.
La città dell’amore fu costruita dove prima c’era un campo di concentramento, affinché fosse più chiara l’alternativa: puoi vivere all’insegna dell’odio (con le guerre) o della fratellanza (con la pace). Si potrebbe pensare ad una bella utopia. Invece fu realtà: come non esultarne!
Ebbene no! Arriva la contestazione del profeta, da parte sia dello stato che della chiesa. Don Zeno ha allevato 4.000 ragazzi nella sua vita. Si aggrappava dove poteva. Anche ad una Marchesa che promise di pagare lei i fornitori. Per l’insolvenza di lei, lui fu processato. Dallo stato non ebbe un grazie, perché faceva quello che spettava ad esso fare, ebbe anzi una denuncia, un processo, una contestazione di debiti!
E la chiesa? Forse ha venduto qualche pezzo pregiato della Pinacoteca Vaticana per pagare i creditori di Don Zeno? No. Gli ha intimato di smettere! «Tu i tuoi ragazzi li devi mettere sulla strada. Così salverai te stesso!» Pare incredibile! Tutto questo in nome della religione dell’amore! A chi aveva fondato la città dell’amore! Da parte di noi «esperti in umanità»! E l’aggiunta moralistica non poteva mancare: «Come ammettere che ci siano fratelli e sorelle non di sangue nella stessa famiglia? » Così la propria faccia è salva! In tutti i sensi. Don Zeno è prete fino alla punta dei piedi ma non può accettare. Se come prete non può accudire i suoi ragazzi, come laico lo potrà fare. Così chiede la secolarizzazione. E la chiesa gliela concede «pro gratia»: bontà sua.
Il santo Ufficio è riuscito ancora una volta a mettere a posto le cose: sia lodato Iddio! In dieci anni frenetici Don Zeno parla in America, in Svizzera, ovunque, nei santuari del capitalismo. Riesce a pagare i suoi debiti. Non manda a casa i suoi ragazzi e nemmeno divide i fratelli dalle sorelle per compiacere il Vaticano. Ma in Vaticano stranamente, sale un «uomo», il buon Papa Giovanni. Sara lui a permettere a Don Zeno di celebrare la sua «seconda prima messa». Ora può rimettere l’abito, come profeta ubbidiente. Si temeva potesse infangarlo con la sua preoccupazione per poveri orfanelli (ma cos’è – evangelicàmente – che inquina l’uomo?). Morirà dopo gli ottant’anni senza aver perso il vizio di vivere in fratellanza, raccogliendo con amore quelli che per gli altri sono rifiuti.
Ora il Papa è andato in questo nuovo Santuario del divin Amore! I figli di Don Zeno l’hanno accolto bene. Ma è giusto dimenticare la lezione della storia? I «benpensanti» che criticavano il povero prete, perché non pensava a se stesso e alla sacralità del santo abito: dove sono?
I moralisti che temevano il favoreggiamento dell’incesto: sono forse svaniti nel nulla? La mediocrità al potere (sia statale che Vaticano) non si ricorda di aver condannato quando bisognava elogiare? Come non sentire l’eco del Vangelo (Matteo 23): «I vostri padri ammazzarono i profeti e voi erigerete loro monumenti».
Anch’io esulto per il Papa che va finalmente a Nomadelfia. Ma chiedo che ci vada «come a Canossa»! Con l’inversione dei ruoli: perché qui il Pontefice non è quello che deve perdonare, ma colui che deve essere perdonato. Paolo VI e il Concilio Vaticano II arrivarono a riconoscere il torto del S. Ufficio su Galileo. Ci vuole proprio tanto a riconoscere il torto del Vaticano di fronte a Don Saltini? O i 63 teologi sbagliano sempre e gli altri mai?
[immagine: Vilhelm Hammershøi, Il palazzo della compagnia asiatica, 1902, particolare.]