Sara Ongaro per “Utopia possibile”, numero 3, giugno 1989, p. 7.
Da qualche tempo si ha l’impressione che ormai il pericolo o l’incubo di un conflitto nucleare sia allontanato, che l’era del disarmo sia iniziata e proceda. Ed in realtà questa fiducia è importante, ma rischia, se non si tengono bene gli occhi aperti, di venire amaramente delusa.
Basti pensare al nostro paese e al suo bilancio militare. Non è certo un tema per addetti ai lavori, infatti oggi dalle spese militari di uno Stato si possono misurare la democrazia di quel paese e la considerazione in cui sono tenuti i suoi cittadini: dalle spese militari si può giudicare se uno Stato funziona e come.
Nel bilancio dell’88 al Ministero della Difesa erano assegnati 21 mila miliardi (+9,92% rispetto all’87) di cui buona parte servivano per l’ammodernamento e la ricerca scientifica e tecnologica a scopi militari: questa è l’elegante frase per dire “riarmo”, poiché il vero fine dell’ammodernamento è di aumentare il potenziale distruttivo (trovare un’arma che uccide meglio o di più non è molto diverso che acquistarne molte meno micidiali). Questa è una prima indicazione che ci mostra quanto il disarmo sia ancora lontano dalle scelte dei nostri governi. Ma dicevo prima che le spese militari sono una prova per la democrazia, poiché più aumentano, meno vengono controllate: ci sono miliardi e miliardi che compaiono nel bilancio e che non si riesce a sapere a cosa serviranno, perché alle domande dei parlamentari, che quel bilancio dovrebbero discutere e votare, si risponde che i documenti relativi sono riservati!
A fare le scelte militari (quali armi costruire o quali comprare, dove e come usarle) non è più il Parlamento, non è l’ambito politico, ma è l’ambito economico e finanziario, sono insomma gli industriali che le producono. Si ha un bel dire che le scelte per la difesa della patria sono vitali, quando poi li si sottrae completamente ad ogni controllo democratico, le si nasconde dietro il muro del segreto, le si affida a chi non bada certo alla difesa del paese quanto a quella dei propri interessi.
Ma le spese militari sono una prova per la nostra democrazia anche in un altro senso, e per di più sono una prova che non stiamo superando affatto bene. È infatti un concetto di democrazia alquanto strano quello per cui si ritiene legittimo imporre tagli al bilancio della sanità, assestare colpi per distruggere servizi che lo stato ha il dovere di garantire e contemporaneamente comprare ben 238 esemplari del nuovo caccia Amx ( che è solo l’ultimo acquisto), ciascuno dei quali costa 18 miliardi (da “Il Manifesto” del 18.04.1989). Dalle decine di migliaia di miliardi previsti per nuove e micidiali armi che garantirebbero un servizio di difesa ( che mi sento di chiamare inutile e immorale , più che doveroso e necessario), da quei miliardi nemmeno un solo obolo sarà tolto per risanare il debito pubblico: a fare sacrifici non possono essere gli industriali che hanno già le commesse in tasca, ma la gente comune che ha bisogno di andare in un ospedale, di studiare in una scuola, di ricevere una pensione.
La vera immoralità delle spese militari sta oggi nella loro intoccabilità: sono sacre come sacro è il denaro (e purtroppo la sostanza delle armi sta nel loro mercato, che siano strumenti di morte non sembra contare); sono sacre come sacri sono gli ambiti del potere più occulto, incontrollabile, autoritario, cioè il potere militare a cui si può solo obbedire e dimostrarsi leali e fedeli.
Ma sotto a tutto questo c’è un’idea molto distorta di difesa: io non so quanti oggi sono pronti a dire che si può avere più paura di un’invasione di un ipotetico nemico straniero che non delle preoccupanti tendenze antidemocratiche con cui si pretende di decidere la vita della nazione.
Quando avremo gli arsenali pieni e uno Stato a pezzi saremo solo più poveri e più indifesi: ma i nemici interni sono sempre i più difficili da vedere, mentre quelli esterni li si può anche inventare.
Nota: i dati sulle spese militari sono tratti dal documento “Quella spesa pubblica che non si taglia mai…” dell’Associazione per la pace.
[immagine: Alexander N. Samokhvalov, Ritratto di pilota, 1933, particolare.]