Sara Ongaro per “Utopia possibile”, numero 2, marzo 1989, pp. 8-9.
Anche noi l’8 marzo non possiamo dimenticarci che è una festa.
È da discutere se sia una festa di quelle da celebrare o da contestare. Da celebrare perché ricorda un’azione della polizia contro delle operaie in sciopero negli Stati Uniti (anche se lo stesso. episodio è stato messo in discussione) perché insieme al dolore per quella violenza e per tante altre come quella c’è l’allegria di sentire questo giorno «nostro», di tutte le donne.
Ma è forse da contestare perché è un po’ ipocrita pretendere di ricordarsi delle donne per un giorno e dimenticarle per gli altri 364: tutti all’improvviso sorridono dopo che per il resto dell’anno, nelle strade, nei tribunali, negli Ospedali e nelle scuole, le donne sono state offese, disprezzate per quel che sono e considerate solo per quel che agli uomini piace considerarle.
Prendiamo almeno questo 8 marzo come una occasione per ricordarci che gli esseri umani (e volutamente non ho scritto «uomini») sono uomini e donne. Ovvio, eppure tanto spesso dimenticato.
La presa di coscienza delle donne, il cammino di liberazione da padri e mariti padroni, da convenzioni e pregiudizi che negano loro non solo la libertà e l’autonomia per scegliere la propria Vita ma perfino la possibilità stessa di avere una vita propria, il lungo cammino di lotta e riflessione insomma, ha portato le donne a credere che oggi il valore fondamentale che è necessario introdurre nella Società, se davvero vogliamo essere più liberi, è la DIFFERENZA.
Per anni si parlò di uguaglianza. Ma ugualia-chi? All’uomo forse? A quello stesso maschio che nella Storia ha saputo instaurare con la donna, con la natura e con gli altri uomini rapporti di dominio?
Sarebbe come rassegnarsi accettando che se questi rapporti hanno retto il mondo sino a oggi “così sarà per l’eternità”. La lotta e il pensiero delle donne è invece anche una sfida, perché è la scelta di prendere la parola da parte di chi è sempre stata costretta al silenzio, di diventare soggetto per chi è sempre stata oggetto, merce e vittima, di conquistarsi il diritto di scegliere quando essere madre o moglie e se esserlo o no e tutto questo riuscire ad ottenerlo non solo nelle leggi, ma anche nella vita quotidiana.
Leggendo la Storia dei libri ci accorgiamo che la vita e il pensiero delle donne non ha lasciato traccia se non, paradossalmente, per la nascita di altri maschi: ci troviamo di fronte ad una storia a senso unico, in cui l’agire di metà dell’umanità è considerato senza valore.
Oggi parlare di differenza significa proprio riconoscere dignità a quest’altra metà, dare voce ai modi diversi di intendere l’educazione, il lavoro, il potere da parte delle donne.
Gli spazi delle donne, i loro legami, di cui la Storia ufficiale non registra nulla, sono altri: sono quelli della solidarietà, della tenerezza, della capacità di essere fedeli alla propria storia, e non è un caso per esempio che in tanti paesi oggi minacciati dal dilagare del consumismo dall’invasione dei prodotti e dei valori occidentali che distruggono le altre culture provocando grossi squilibri, ebbene in questi paesi del cosiddetto Terzo Mondo le persone che ancora conservano le più antiche conoscenze popolari o i vestiti tradizionali sono proprio le donne. Insomma loro che sono state escluse dalla Storia e dal potere hanno in fondo vissuto e difeso i valori che la Storia degli uomini negava.
Le donne private persino del diritto all’educazione, perché chi per tutta la vita sarà considerata minorenne o minorata non ha bisogno d’imparare altro che a servire proprio loro senza clamore, ma nel silenzio e nella durezza della vita hanno intessuto fili di comprensione, di pace e creatività che oggi è un dovere portare nella politica e nella Storia di questo mondo sull’orlo dell’ autodistruzione.
[nell’immagine: Mario Sironi, L’impero, 1936, particolare.]