Leandro Rossi per “Utopia possibile”, numero 0, settembre 1988, pp. 20-22.
Terminata l’apoteosi centenaria, la storia comincia a delineare la vera figura di Don Bosco, che ci appare ormai con la sua capacità organizzativa l’Agnelli della carità (invece che del profitto, come il conterraneo della Fiat). E’ la storia di un contadino,-intelligente, volitivo, energico. sensibile, ma figlio del suo tempo, che affrontò con la sua cultura ed esperienza, senza riuscire a comprendere il moderno e i segni dei tempi della storia. La testardaggine fece il resto, come l’amicizia e, la simpatia per gli altri due celebri piemontesi: Don Cafasso, il prete della forca e della morale, e il Cottolengo, il santo della carità verso gli handicappati.
Vediamone prima i difetti, che è bene evidenziare anche nei Santi, per accorgersi che sono uomini. Come noi e che, quindi, malgrado i nostri difetti, non abbiamo preclusa la via della santità. C’è chi dice che rimase un “enigma”.
Lo stesso Don Cafasso, suo confessore, diceva “Se non fossi certo che lavora per la gloria di Dio, direi che è un uomo pericoloso, più per quel che non lascia trasparire, che per quel che ci dice di sé”. Un fondo di “insincerità”, insomma, o almeno di “reticenza” a fin di bene, come in tutti i grandi managers.
C’è poi il risorgimento che lo vide sempre col Papa, incapace di cogliere le esigenze dell’Italia, come altri preti quali il Gioberti e il Rosmini. C’è soprattutto il modo di vedere la sessualità e il peccato. Lo stesso metodo preventivo, più e prima del desiderio di condividere le giornate con i ragazzi, era dettato dalla sua morale, cioè dalla necessità di metterli (fuori metafora) nella quasi impossibilità di fare male, evitando che cadessero nella masturbazione o in rapporti omosessuali.
Ma questa oscura e monotona morale dei doveri era in comune anche alla illuminata società borghese del tempo.
D’altra parte, tutti paghiamo il tributo al tempo in cui viviamo. Si fa tuttora fatica a concepire serenamente il sesso come dono di Dio. Inoltre Don Bosco diceva spesso ai suoi ragazzi che “Dobbiamo servire il Signore con gioia”. Lui stesso era sempre gioviale e gioioso. Egli poi, seguendo S. Alfonso e Don Cafasso, optava per le indicazioni morali più umane, pur in una era rigorista, ed elogiava in continuazione la misericordia di Dio.
Il metodo preventivo che lo caratterizza e che verrà studiato dai pedagogisti del nostro secolo, è anzitutto in antitesi al metodo repressivo, dei castighi e delle punizioni severe ed umilianti.
Don Bosco dirà – stavolta sì con grande intuito – che non confida nelle punizioni: “Se un giorno dovessi infliggerla, sentirei di dover punire anzitutto me stesso”. Suppone poi un condividere la situazione dell’educando. Il vivere semplicemente con il giovane pone questi nella quasi impossibilità di sbagliare e aiuta l’educatore a capire meglio il ragazzo.
Il suo metodo, infine, è riassunto dalle tre famose parole: AMOREVOLEZZA, RAGIONE, RELIGIONE, che sembrano lontane alla mentalità secolare di oggi. In realtà esse possono essere rilanciate nella nostra epoca, con pochi accorgimenti. L’amorevolezza sembra a noi sdolcinata, ma con quanta insistenza parliamo di affettività e dei disastri nella vita dell’ adolescente per la sua mancanza.
- Quindi l’amore: il giovane deve sentirsene oggetto, per diventare soggetto capace di amare.
- La ragione, potremmo chiamarlo “buon senso”. Rientrando in sé stesso chi sbaglia sente di aver agito non secondo ragione, per cui è in sé stesso e nella sua coscienza che ognuno deve cercare quanto è giusto e quanto no.
- La religione è solo apparentemente più contestabile oggi. Per Don Bosco (con il Dio mi vede) esprimeva in sintesi un insieme di “valori” (di bontà., di dedizione, di generosità, ecc…). Noi potremmo sostituirla – nella nostra era pluralista – con la parola “ideale”. Ogni giovane, anzi, ogni persona umana deve avere un ideale da coltivare in cuore.
Ci sono altre cose che mi rendono simpatico Don Bosco. La sua testardaggine, ad esempio, per cui seppe resistere al Papa (quando in Vaticano la sua Congregazione era vista male, perché si occupava di poveri barboncelli della società, egli non mollò di un millimetro) e al suo vescovo Mons. Gastaldi, che lui aveva contribuito a far eleggere arcivescovo di Torino. La grana gerarchica non manca mai nella vita dei santi, anche se si cerca di nasconderla.
Gastaldi non vedeva bene che i chierici si mescolassero con i suoi ragazzi di vita, ma Don Bosco si ribellò a questa borghese e indegna segregazione. Il vescovo lo punì duramene, togliendogli la facoltà di confessare e rifiutandosi di ordinare i chierici salesiani. Pio IX e Leone XIII non lo ricevettero, finché il santo, che aveva ragione, non avesse chiesto scusa al vescovo borghese e quasi razzista. Don Bosco implorò il perdono, e dalle due prove -dice il biografo – uscì sereno e distrutto. Negli ultimi anni della vita non era che l’ombra di sé stesso. Osannato in Italia e all’estero, dal grosso pubblico per il quale era il fondatore degli oratori, il padre di chi non aveva famiglia; non si sentiva amato e stimato dal proprio mondo. E’ un po’ la storia di tutti i profeti.
In sintesi: le capacità organizzative, come l’intuito psicologico con il quale sapeva attrarre a sé e ottenere molto dalle persone più diverse, furono grandi. Notevole anche la prontezza, con la quale si improvvisò, oltre che giornalista, editore, diffondendo, in meno di trent’anni,. quasi venti milioni di volumi; e con cui inventò quelle che sarebbero state oggi. le scuole professionali (senza alcun aiuto pubblico, per tanto tempo). Noi dimentichiamo volentieri i limiti della cultura (un uomo attivo non ha tempo per studiare), del temporalismo pontificio e della poca fiducia nella democrazia (un padre è democratico nella sostanza più che nella forma) e raccogliamo da lui l’esempio di una vita tutta spesa gratuitamente per gli ultimi, proclamando la necessità di vivere nella gioia: amando, seguendo il cervello che tutti abbiamo e coltivando un ideale nel cuore. E’ proprio un terno al lotto.