Leandro rossi per “Utopia possibile”, numero 0, luglio 1988, pp. 16-17.
Il 1° agosto 1987 ricorreva il 2° centenario della morte. Ora i vescovi campani ricordano questo loro collega illustre, napoletano di Napoli, come la sua nobile e ricca famiglia de’ Liguori. Divenne avvocato, dalle arringhe infuocate e dalla promettente carriera forense.
Ma infuocato d’amore di Dio, si occupò dei poveri e dei senza speranza, condividendone spesso le sorti. Fece la scelta radicale prospettata da Cristo: “Va, vendi quello che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi”. Egli lascia la città e sceglie la povertà della campagna. Alfonso sarà l’apostolo delle campagne abbandonate, ove nessuno andava ad evangelizzare i poveri ed a conoscerne le difficoltà economiche, nei casolari e nei villaggi isolati. Divenne cantautore dei poveri, inventando musiche e parole di canzoni che sono giunte sino a noi, come «Tu scendi dalle stelle», che allieta tuttora i nostri Natali, e «Andrò a vederla un dì», che utilizziamo ancora nelle feste della Madonna.
Chi è questo prete dei baraccati del napoletano? Sarà un Curato d’Ars, che non riusciva negli studi teologici, per cui andava a svolgere il ministero ove i confratelli colti si rifiutavano di andare? No. Tutto il contrario. Alfonso scrisse una cinquantina di libri, tra cui la colossale opera di teologia morale, restò alla storia – oltre che per la sua santità – per la sua cultura, come teologo e – forse – come il più famoso moralista di tutti i tempi. Per due secoli i teologi della decadenza secentista e rococò discussero sulle varie opinioni morali e si dilaniavano, i probabilisti contro i probabilioristi, i gesuiti contro i domenicani, i favorevoli alla libertà contro i favorevoli alla legge.
Si scagliarono reciprocamente accuse di eresie, tanto che un Papa nominò una commissione mista con lo scopo di dirimere le questioni aperte; ma inutilmente. Alfonso, invece, si appello alla ragione, al buon senso, alla conoscenza reale dei fatti della gente (e non alla scienza asettica da tavolino) e arrivò a proporre soluzioni che alla fine furono accolte da tutti e che ancora oggi s’impongono al rispetto per la loro obiettività.
Come facesse ad unire il lavoro di scrittore con quello di amante dei poveri, in missione continua per loro, resta un mistero, che si trova solo nella vita dei santi, attivi e contemplativi assieme. Era naturale che ispirasse simpatia ed empatia. Altri giovani s’impegnarono ad imitarlo, sicché si trovò a dover gestire la Congregazione del Santissimo Redentore, cioè i padri Redentoristi. Per giunta il Vaticano lo promosse vescovo di S. Agata dei Goti, così la sua attività pastorale ebbe un raggio d’azione molto più vasto. Qualche volta capita (per sbaglio) che il Vaticano promuova non dei funzionari fedeli, ma delle libere persone fedeli anzitutto ai poveri e alla propria coscienza!
Detta così la sua vita sembra essere una sequela di iniziative (teoriche e pratiche) e di successi continui. Invece quanta fatica, quante sofferenze! Gli scrupoli che ebbe marcati in gioventù, e che lo tormentarono anche nella vita adulta (malgrado la lucidità morale delle sentenze che emetteva per gli altri), tornarono a tormentarlo da vecchio, quando anche i suoi frati lo deposero, per mettere un altro al suo posto. Allora egli, dando esempio di accettazione del proprio tramonto, si dimise anche da vescovo, ma Clemente XIII, respingendogli le dimissioni, disse: “Mi basta la sua ombra, per essere sicuro che ne avrà giovamento tutta la diocesi”.
Egli fu l’apostolo dei poveri, sia dei poveri materiali, che dei poveri spirituali, che avevano problemi di coscienza apparentemente insolubili. Così divenne anche esempio ai ricchi di cultura e di erudizione sul modo di accostarsi ai problemi morali della povera gente. Per riuscire, escogitò persino un metodo, quello dell’equiprobabilismo, cioè dell’equidistanza tra legge e libertà (a metà strada tra gesuiti larghi e domenicani stretti). Gli studiosi sanno che il sistema è sbagliato, perché la presunzione è per la libertà (noi siamo liberi finché si riesce a dimostrare che siamo vincolati), ma le sue conclusioni moderate furono quasi sempre azzeccate e accolte presto da quasi tutti. Non conta avere sempre ragione. Conta lo sforzo serio di risolvere onestamente i problemi. Perché si deve dare il pane agli affamati; ma si debbono anche illuminare le coscienze e non imporre ai poveri oneri insopportabili.
[nell’immagine: Bartolomeo Schedoni, studio per la Carità di Santa Elisabetta, 1610, particolare.]